Tutti i gusti sono giusti
Così recita uno slogan di educazione alimentare e all’interculturalità nella regione Emilia-Romagna. In molti ci siamo riuniti in una delle sue piazze per curiosare tra i gusti dei popoli che non conosciamo. Cercando un contatto con una diversità arricchente, espressione di una sincera voglia di conoscere e condividere. (Foto: © Beatrice Sartini)
Nei primi tre giorni di ottobre la città di Cesena ha rinnovato l’appuntamento biennale col Festival Internazionale del Cibo di Strada, giunto quest’anno alla sesta edizione.
Percorro il corso principale, animato dal passeggio allegro della domenica mattina ed arrivo in Piazza Libertà, sede del festival. Il bel campanile del Duomo veglia sulla piazza coperta di stands ordinati, ancora chiusi dopo l’intensa attività culinaria della notte di sabato appena trascorsa.
Una voce d’altoparlante annuncia che in due giorni sono stati già venduti più di diecimila buoni. Al Festival Internazionale del Cibo di Strada il cibo si acquista infatti con una moneta unica. Gli euro vengono cambiati in buoni. Così un’Arepas venezuelana costa tre buoni, mentre un Churro spagnolo semplice ne costa due.
Attendo l’inizio del laboratorio del gusto che ho prenotato qualche giorno fa, che inizierà a breve. Nell’attesa ecco che gli stands dei diversi paesi del mondo, tra cui anche l’Italia rappresentata da diverse regioni, iniziano a risvegliarsi, slacciando le cinghie dei teli abbassati qualche ora prima, mentre un crescendo di persone esplora i nomi delle ricette, cercando di orientarsi nella loro varietà. Coi nasi all’insù e gli occhi vicini al tabellone dei piatti, si fanno guidare dalla breve descrizione degli ingredienti contenuti e dal paese di provenienza. Alcuni si confrontano divertiti per creare il loro personale menu, qualcuno, perplesso, ruba l’idea che hanno appena scelto i vicini, qualcun’altro rimane fedele ai piatti del proprio paese, magari sperimentando una regione diversa dalla propria. La ricetta più bella è proprio la curiosità di fronte a quei piatti, che ci accomuna tutti, la voglia di conoscere l’altro da sé e di sperimentarlo dentro se stessi, attraverso l’utilizzo dei propri sensi.
L’odore intenso di carne arrostita ci rivela che alcuni chef sono già in attività. È la lontana Argentina, che in un attimo riesce ad avvolgere l’aria che respiriamo di intenso fumo aromatico. �
Inizia il laboratorio del gusto, condotto da Chef Kumalè, noto giornalista, gastronomade, co-curatore della sessione internazionale del festival e grande esperto di cibo dei tanti paesi del mondo, che ci racconta con parole appassionate e coinvolgenti di uno dei piatti che più parla di integrazione, evoluzione ed adattamento. Il Cous Cous, originario delle regioni del Maghreb, piatto nomade per eccellenza, nelle sue mille varianti.
In dettaglio lo Street Cous Cous, quello che oggi troviamo nelle piazze del Maghreb, che possiamo gustare in piedi, in stile take away. Figlio di lunghe tradizioni, diverse e tipiche di ogni regione, che ne proteggono i rituali, i tempi, le modalità di preparazione, questo Cous Cous oggi si rende fruibile adattandosi al mondo reale che cambia, senza perdere quel sapore mediterraneo, a noi familiare e caro. Che si esprime nell’armonia del gusto della semola di grano, delle verdure colorate, arricchita dai legumi, dalla carne e dall’olio d’oliva, impreziosita dall’aroma intenso delle spezie lontane. Mentre ascoltiamo dei simbolismi che nasconde, impariamo osservando direttamente la lavorazione, secondo il rito dei paesi d’origine, ad opera delle mani esperte di un noto chef maghrebino, che da tempo propone le tradizioni alimentari del suo Paese nel nostro. Osserviamo la bellezza del piatto finale, ne gustiamo il sapore che rimane intenso, quanto la conoscenza del rito di preparazione, che ora appartiene anche a noi. Lo possiamo portare a casa, potremo provare a realizzarlo con le nostre mani, potremo offrirlo a chi non lo conosce, colorando l’orizzonte di esperienze e conoscenze con questo tono caldo e solare.
Lo stand dell’Emilia-RomagnaÈ ora di pranzo, la piazza è invasa di aromi, profumi, rumori e gesti da scoprire. C’è davvero tanta gente riunita attorno ad ogni stand, intenta ad ascoltare le parole dei cuochi che, oltre a crearlo, raccontano il cibo con le parole. Altri, silenziosi, lo narrano attraverso le mani, esperte riproduttrici della tradizione che prende forma pian piano.
Tenendo in mano un piattino o un semplice fazzoletto di carta, ognuno cerca un angolino sulla piazza per fermarsi a scoprire il sapore di quel cibo diverso, a cui si sta aprendo. In questo momento il lontano diventa vicino e rimane, esperienza da ricordare al passato, da portare con sé nel presente e da arricchire di sé nel futuro.
Beatrice Sartini