Trekking ad un passo dal Cielo
Voglio portarvi insieme a me sull’Appennino Tosco-Emiliano in una delle mie passioni: a faticare risalendo il ripido pendio di una montagna fino a calpestare quella sottile linea di terra che chiamiamo crinale e che segna il confine invalicabile tra il Cielo e la Terra. (Foto: © Daniele Pistoni)
Croce sonora al Passone
Il Trekking è un’attività mutevole per via del fatto che anche il percorrere lo stesso sentiero a distanza di tempo, o con stagioni differenti, varia notevolmente le sensazioni a cui la mente e il corpo vengono sottoposti. Affrontare una ripida salita tra gli alberi incendiati dell’autunno e accarezzati dalla bruma autunnale, non ha certo lo stesso impatto emotivo dello stesso percorso immerso nelle verdi fronde estive e illuminato dal sole allo zenit. Non parliamo poi di un gelido e penetrante sentiero invernale, con i rami degli alberi che si allungano verso il cielo terso come dita scarne, e tutto intorno solo il silenzio ovattato e il candore della neve rilucente.
L’Appennino Tosco-Emiliano presenta un numero altissimo di percorsi adatti a questa attività, che con le dovute attrezzature e cautele può essere praticata in tutte le stagioni; antiche vie di comunicazione tra ducati confinanti ma divisi territorialmente dalla catena montuosa, vie che percorse a piedi o a cavallo erano l’unico contatto tra l’Emilia e la Toscana, ma anche sentieri solcati dal bestiame che in estate sale al pascolo in altura, per non dimenticare briganti, soldati e partigiani durante le due guerre mondiali. I percorsi per questo motivo sono assolutamente vari, ed è possibile andare alla ricerca di laghi, cascate e di collegamenti tra diverse località che si snodano interamente nella natura, ma anche per i più ambiziosi di risalirli a caccia di cime.
Massiccio del Monte Giovo
Le cime principali per ovvi motivi sono quasi tutte poste in corrispondenza del confine territoriale tra le due regioni, le più alte superano i 2000 m. s.l.m. e non è difficile trovarvi la neve già a metà autunno o fino alla tarda primavera. Una caratteristica, questa dell’altitudine, che ha fatto in modo che nascesse nel tempo un sentiero di crinale che collega tutte le principali vette senza scendere mai, o quasi, al di sotto del limite della vegetazione arborea. Ma forse adesso è ora di andare…
Versante Reggiano del Monte Cusna
Ho appena lasciato la macchina ed il sentiero si snoda quasi pianeggiante tra i faggeti, le foglie sono imbrunite dall’autunno e iniziano a ricoprire come un mantello il terreno umido. Qui e là, dove qualche settimana addietro si potevano trovare i frutti estivi del sottobosco, si trovano solo piante spoglie, e le cappelle rilucenti e profumante dei funghi iniziano a fare capolino, per l’occhio più esperto, tra il fogliame. Percorro alcune brevi pietraie che salgono a scalino nel bosco; tutto tace, tranne il frusciare delle fronde accarezzate dal vento. Il respiro si fa affannoso ma, oltrepassato un piccolo guado, alzo lo sguardo e lo trattengo: di colpo il bosco si apre in una grande distesa di erba, muschi e pietre.
La montagna è lassù che gioca a nascondino con le nubi, sembra inarrivabile, eppure questo piccolo sentiero che si perde nell’erba porta a lei. La scruto con rispetto e timore, so che la nostra sfida sarà regolata dalle leggi giuste della natura e che solo la mutabilità del tempo farà da arbitro tra di noi. Riparto rinfrancato dalla sosta e dalla voglia di posare piede lassù, dove lo sguardo si apre a 360 gradi e l’anima si quieta sotto il mantello azzurro del cielo. La salita impegna tutte le mie forze e la mia concentrazione, il sentiero è ripido e si deve fare attenzione perché di tanto in tanto i passaggi difficili possono portare a mettere il piede in fallo; le nubi continuano a giocare a nascondino togliendomi di tanto in tanto dalla vista la mia ambita meta.
Sommità del Monte Cusna con immagine sacra
Al termine di una faticosa risalita a tratti immersa nelle nubi, ecco finalmente il crinale; ora lo sguardo si perde senza barriere nell’infinità dell’orizzonte. Le nubi sono sotto di me ed il vento di maestrale mi sferza gelido il viso portando con sé l’ululato dell’inverno che inizia a manifestare il suo desiderio di scendere su queste terre. Ancora qualche centinaio di metri mi separano però dalla vetta. La vedo alla mia destra con la croce di ferro portata a fatica fin quassù da qualche pellegrino, un’immagine usuale per le cime appenniniche, farcite di croci e statue della Vergine Maria, portate quassù come a rinsaldare un patto tra l’uomo e Dio nel luogo dove il Dio del Cielo appare, per un gioco di prospettiva, più vicino alla Terra.
Sommità del Monte Giovo, crinale con nuvole basse
Croci, e di tanto in tanto statue, adornano queste vette spoglie battute dal sole estivo e sferzate dal vento gelido in inverno. Mi siedo a contemplare l’orizzonte assorto in pensieri che si fanno leggeri, evanescenti come le nubi che sospinte dal vento danzano sotto ai miei occhi innalzandosi verso le creste per poi dissolversi, come fantasmi al comparire dell’alba, tra le correnti ascensionali.
Rifletto sul bisogno dell’uomo di portare segni religiosi laddove Dio si manifesta in tutta la sua bellezza e grandezza. Mi basta osservare la natura nel suo equilibrio per non avere dubbi sulla perfezione del creato, ma forse è proprio per questo che qualcuno sente il bisogno di rendergli omaggio proprio dove il limite dimensionale tra Cielo e Terra sembra più sottile, dove una parola rivolta a Lui sembra poter giungere più chiara, ed alzando un dito si può quasi avere l’impressione di toccarlo.
Daniele Pistoni