I viaggi del Babà
Il babà napoletano ridondante di rum è qualcosa in più di una semplice dedica al palato. La sua lunga storia rievoca un suggestivo viaggio nella memoria che inizia in Lorena, passando per Costantinopoli, “le Mille e una Notte” e… Ali Babà. (Foto1, 3, 4: Flickr cc food lovers odyssey, cod_gabriel, La_Baroque; foto 2: wikipedia commons)
- I babà
“Nella storia del Babà esiste un re. Un re intellettuale e senza la corona, che per combattere la noia della sua esistenza aveva bisogno tutti i giorni di qualcosa di dolce.
Un giorno, Stanislao, senza averla ancora assaggiata, ma saggiandone la morbidezza spugnosa al tatto, sapeva di aver inventato una prelibatezza che non aveva niente a che vedere con le altre della sua terra e della sua epoca; un raro punto di equilibrio tra consistenza e leggerezza. Un po’ come la sua vita”.
Nasce così il lungo viaggio del Babà, un dolce mitico, inventato a metà del settecento da Stanislao Lekzinsky, ex re di Polonia e, al momento dell’invenzione, duca di Lorena.
Un viaggio che presenta delle connessioni di senso tra urbanistica, pasticceria e letteratura, ovvero tra le diverse forme assunte dal Babà, l’urbanistica delle città attraverso cui è passato e la letteratura di ciascuna epoca.
All’inizio, il Babà ricordava qualcosa a metà tra il turbante e la pagoda, architettura di cerchi concentrici e digradanti verso l’alto, aveva nell’impasto l’uvetta di Smirne e di Corinto e portava il profumo dello zafferano. Per il sapore tipicamente esotico, Stanislao decise di chiamarlo Alì Babà, in omaggio alle Mille e Una Notte, testo che aveva potuto leggere durante la sua prigionia presso il sultano di Costantinopoli.
- Il Re Stanislao Leszcynski
La lunga trasformazione del Babà parte dalle sue influenze orientali, passando per la cultura dell’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, la Parigi di metà ottocento, fino a Napoli, dove il babà si “napoletanizza”. Ma in questo viaggio si compareranno le caratteristiche del dolce all’urbanistica di tre città: Nancy, Parigi e Napoli.
L’ariosità e la luminosità del primo Alì Babà si può leggere esattamente nel progetto che Stanislao ha ispirato per la città di Nancy, che con l’invenzione del primo boulevard della storia diventerà uno dei “paradigmi” dell’urbanistica dell’illuminismo.
D’altra parte Stanislao – che non aveva nessun potere effettivo-, aveva creato a Luneville uno dei salotti intellettuali più importanti d’Europa: illustri filosofi, scienziati ed artisti dell’epoca erano periodicamente suoi ospiti.
In questa atmosfera culturale nasce il primo Babà, il dolce illuminista.
Presentava però un unico grande difetto, dopo qualche ora diventava durissimo.
Ci si pose il problema di bagnare il dolce con un liquore. Stanislao fece molti tentativi, con il Madeira, con liquori d’erbe; a Versailles usarono il rum. Ma a Stanislao non amava questi bagni che a suo avviso snaturavano la sua creatura.
- Le mille e una notte
Scriverà in una lettera: “Lo scorso mese mi hanno presentato un Babà, così lo chiamano ora, talmente inzuppato di liquore che gli ho dato fuoco. Perde di leggerezza e di memoria”.
E Stanislao morirà nel 1766, bruciato dalla fiamma di un camino, come il suo Babà.
Ma nella pasticceria parigina Sthorer, il Babà gli sopravviverà: perderà lo zafferano, ma conserverà i canditi e sarà bagnato con il rum.
A metà dell’ottocento nasce il nuovo babà; il Babà Savarin.
Dalla forma circolare, con le pareti interne ricoperte da marmellata di albicocche: ci si pensò di alloggiare una macedonia di frutta innaffiata di liquore.
Ne nasce un dolce luccicante e splendente, seduttivo e opulento come la Parigi raccontata da Balzac e da Hugo.
E infine il Babà arriverà a Napoli, arriverà con Murat e resterà confinato nelle case nobiliari.
Solo dopo l’unità d’Italia arriverà nelle pasticcerie, ma subirà una fondamentale trasformazione; perderà i canditi.
- Particolare del portone di Villa Celimontana
La presenza dei canditi nei dolci è memoria di tradizioni di campagna. E Napoli è metropoli da sempre.
Tutta la cultura napoletana è oppositiva alla cultura della campagna e, per essere accettato, il Babà doveva perdere l’apparenza del pane e diventare un dolce esotico e difficile, un sogno di perfezione.
Nasce il Babà napoletano, simbolo di una città che la perfezione la sogna, ma non la pratica.
Termina così la magistrale performance di Fabrizio Mangoni – gastronomo e urbanista – che conclude la terza edizione del Festival delle Letterature di Viaggio nella sede di villa Celimontana a Roma.
Con accompagnamenti musicali, applausi e gustose degustazioni, si spengono i riflettori sul “lungo viaggio del Babà”, che ci ha condotto per mano all’interno di una suggestiva forma di narrazione del viaggio, del fascino dei luoghi e delle diverse culture.
Alessandra Mannarella