Napoli: rifiuti e sogni infranti
La testimonianza di Stefania, nostra collaboratrice
Sin da piccola sono cresciuta con il sole della mia città nel cuore e negli occhi. Ricordo che mia madre, mio primo Cicerone, mi teneva per mano e mi accompagnava per le stradine del centro storico, raccontandomi storie di re e regine, popolani, guerre e battaglie.
Immaginavo Piazza Plebiscito invasa da donnine dai larghi abiti e dalla vita stretta, che passeggiavano e chiacchieravano nascoste da diafani ventagli. Le vedevo correre nella piazza spaventate da maestosi cavalli che trascinavano barocche carrozze dalle quali si affacciavano i visi della nobiltà locale.
Più il tempo passava e più m’innamoravo della mia città, del Vesuvio che la sovrastava e la accompagnava nelle cartoline del mondo, delle chiese, da quelle intime medievali a quelle vastissime barocche. Castelli e siti archeologici erano diventati il mio pane quotidiano, il mio hobby. Avevo deciso: da grande avrei fatto la guida turistica, l’ambasciatrice della mia città! Voglio far conoscerla a tutti.
Ho programmato i miei studi, le lingue, i viaggi all’estero, l’università e il master.
Finalmente i primi lavoretti si affacciavano, volontariato, tirocinio; poi finalmente il primo lavoro importante al Museo di S.Chiara, nel famoso monastero che ha ispirato la canzone anche oltre oceano.
Mi sembrava un sogno. Visite guidate tutti i giorni, ad ogni ora: Italiani, Inglesi, Francesi e Americani. Li accompagnavo tra le mura conventuali raccontando anche io storie della Napoli che fu. Ho avuto l’onore di guidare presidenti della Repubblica, politici, ambasciatori e miei concittadini. Grandi e piccini. In ogni parola la passione e l’amore per la mia città. Un bel giorno ho detto: “Ecco, sono soddisfatta,non mi manca niente…così tra una riflessione e un’altra, ottimisti, io e il mio fidanzato abbiamo deciso: sposiamoci!”. Tutto perfetto, fino a qualche mese fa.
Dicembre, Natale; i turisti hanno affollato le stradine di Napoli, così pure nei primi giorni di gennaio. Poi all’improvviso, passeggiando tra le stesse stradine, mi accorgo dei sacchetti abbandonati ad ogni angolo, dalle arterie principali fino alla periferia. La gente cominciava a camminare coprendosi la bocca ed il naso con il fazzoletto..
Ho pensato: “Ma cosa aspettano a pulire? Questione di giorni e tutto tornerà come prima”.
Intanto al museo i turisti cominciavano a diminuire e quelli che entravano si lamentavano della situazione. I giornali poi incominciarono a sbattere in prima pagina foto della mia città invasa dalla spazzatura. Nel mio cuore orgoglioso ho pensato che si sarebbe risolto tutto, che stavano esagerando: Napoli non è questo, non può essere questo. Intanto però al Museo il personale era più dei turisti e il lavoro cominciava a risentirne. Il lavoro che tanto avevo anelato ora sentivo diventare ancora più precario, i visitatori diminuivano sempre più, mentre le foto sui giornali e le immagini in tv non accennavano a diminuire.
L’Europa intera mostrava la sua disapprovazione e condanna per una classe politica incapace di trovare soluzioni immediate e risolutive.
Il tempo però correva, quella classe politica ancora attaccata alla sua poltrona inviava esercito, tecnici e intellettuali, mentre la gente esasperata manifestava vergogna e preoccupazione per la salute.
I cassonetti incendiati, oggi, erano diventati la cartolina di Napoli nel mondo. La mia rabbia cresceva, mi sentivo impotente di fronte a tutto questo. Le ore al Museo, ormai davvero poche, le trascorrevo a leggere della mia città su giornali locali e nazionali, fino a quando un giorno il Responsabile della struttura ci chiamò per una riunione, argomento: “Difficoltà del momento”.
Già sapevo che qualcosa di negativo stava per accadere. Tra il personale, tutti giovani sposati e qualche “storico” con figli: si insidiava il sospetto del licenziamento.
La riunione si tenne in una sala fredda, come la paura che avevamo in quel momento.
Dopo mille parole, speranze, disillusioni, il verdetto: taglio del personale. Coloro che avevano un contratto da tempo mantenevano il lavoro, quelli invece caratterizzati dal mortificante contratto co.co.pro erano invitati a lasciare il posto.
Ora mi trovavo sposata, senza un lavoro, bollette da pagare che non aspettavano che mi passasse il dispiacere. Pensavo quindi a tutti gli anni passati a studiare, a scoprire le meraviglie della mia e non più mia città. Intanto da ogni parte del mondo arrivavano disdette di camere prenotate in alberghi e visite ai musei, con tanto di saluti e rimproveri. La TV e i giornali non ancora soddisfatti del danno creato, continuavano a proporre scene del degrado.
La città era sempre più sommersa nelle strade e nel cuore, ma i politici erano sempre pronti a fare dichiarazioni ma mai ad ammettere le proprie colpe. Io intanto a casa ci dovevo stare per forza a guardare quelle immagini. Cosa fare? Mai abbattersi!
Ho cominciato a fare volantinaggio dei miei curricula attraverso internet, e manualmente verso tutti coloro che si occupavano di turismo e non solo. La risposta? “Complimenti per il Suo percorso professionale ma al momento, Lei capisce, non abbiamo necessità si assumere personale. La terremo in considerazione per l’estate se la situazione migliora”.
L’estate? Siamo solo a febbraio!
Cambio genere,ma tutto quello che mi viene offerto ora è un impiego in un call-center. Diventare una figura mitologica metà donna metà telefono non era per me la massima aspirazione. Avrei distrutto con un colpo di spugna tutto quello, ma le bollette aspettavano di essere pagate.
Così mentre attendo che l’ennesimo sacchetto venga portato via dalle strade del centro per essere poi ammassato tra quelli della periferia, mi do da fare.
Ma la mia Napoli non è più quella di una volta. La povera gente è sempre più vittima della arroganza della classe politica inetta, sporca e raccomandata,voltabandiera. Pronta a stare dalla parte del vincitore, ma mai dei vinti.
Vedo le tende di quella bella Napoli chiudersi. La Napoli dei Viceré, della pizza, del mandolino, del caffè e soprattutto dell’arte.
La Napoli “Gentile”, come veniva definita una volta. La Napoli del Grand Tour. Quella che i grandi intellettuali del ‘700 dovevano visitare per ampliare la loro cultura.
Dov’è quella Napoli, io mi chiedo?
Una volta, a chiunque mi avesse offerto di cambiare città, io avrei risposto con un secco no. Cambiare la mia Napoli? Mai!
Ora lo farei per un fiorino. No, non è per svendere il mio amore, ma la mia città ora non lo ricambia più.
Stefania Castiglione