Legalizzazione della cannabis in Italia

Ne abbiamo già parlato alcune settimane fa in una delle copertine di Tempovissuto e ieri si è svolta una marcia per chiederne la liberalizzazione. Sto parlando della legalizzazione della cannabis in Italia, droga leggera che molti vorrebbero poter acquistare come le sigarette nei tabacchini. Tra le principali motivazioni di questa richiesta, trovano posto la libertà di cui deve godere il nostro Paese e la volontà di infliggere un duro colpo alle mafie e alla criminalità, che sulla vendita illegale di questa pianta guadagna fior di quattrini.
Partiamo dal presupposto che in Italia – come nel resto del mondo – alcune sostanze che non fanno proprio bene all’uomo sono legali: è il caso del fumo e delle bevande alcoliche. La loro “legalità” è talmente ovvia che nessuno di noi riuscirebbe a immaginare il nostro Paese farne a meno.
Nonostante questo, rimangono sostanze nocive.
La legalizzazione delle droghe leggere è comunque una scelta forte, che lascia, volontariamente e consapevolmente, agli individui la possibilità di scegliere un prodotto che la comunità scientifica giudica nocivo. Le nostre leggi sono l’elenco di ciò che è lecito e ciò che non lo è in Italia. Inserire, tra queste, la possibilità di commerciare e acquistare cannabis significa legittimare un’azione che causa danno. Non dobbiamo – e non possiamo – considerare il problema guardando ai traffici illeciti. Credo sarebbe un clamoroso errore creare – o acuire – un problema al Paese per combatterne un altro, per quanto quest’ultimo, il contrabbando, possa essere diffuso.
La legalizzazione della cannabis in Italia sarebbe una scelta troppo forte, un lasciare a ognuno la possibilità di decidere, da sé, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Una delega che un Paese non dovrebbe fare. Non ne va della democrazia o della libertà: viene soltanto rispettata e mantenuta la funzione regolatrice del bene comune dello Stato, che dovrebbe – e sottolineo dovrebbe –, in una comunità sana, rappresentare la guida e il punto di riferimento civile.

Leggi lo studio del SIMI, la Società Italiana di Medicina Interna.

Marco Papasidero

Marco Papasidero

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