La lingua italiana salvata dal web

Nasce su Facebook il gruppo “Adotta una parola”, l’ultima iniziativa della rete in difesa della nostra lingua. Parte la caccia alle parole perdute…

Zapatero docet: sull’onda emozional-nazionalistica dell’appello del premier spagnolo ai suoi connazionali affinché adottassero, impegnandosi ad utilizzarla, una delle 6000 parole spagnole minacciate dalla cancellazione e dal proliferare di inglesismi, nasce su Facebook il gruppo “Adotta una parola”, che con i suoi 300 iscritti circa è il fratello italiano del più numeroso gruppo spagnolo “Apadrina una paraula”.
«L’idea è nata insieme ad altri colleghi in un momento di ozio lavorativo – spiega la fondatrice del gruppo, Lea Barzani – non abbiamo la pretesa di salvare l’italiano, ma vogliamo dare il nostro piccolo contributo alla lotta contro il depauperamento del vocabolario italiano». Già, quell’impoverimento che gli specialisti della lingua ormai da anni registrano, lamentando un lessico più povero, l’uso sempre più diffuso di forme grammaticalmente errate, la scomparsa di tempi e modi verbali e non ultima l’estinzione dei dialetti e del patrimonio di civiltà e culture di cui essi sono portatori. La prospettiva delineata è quella di un mondo che, tra pochi decenni, potrebbe parlare solo una o due lingue globali.
Ma nell’era dei blog e di Facebook è il popolo del web a levare gli scudi in difesa di tutte quelle parole dal sapore un po’ antico o peregrino, divenute appannaggio quasi esclusivo della letteratura o cadute definitivamente in disuso. Così si scopre che molti dialettalismi “della nonna” (da barrocciaio a rabberciare) sono ancora presenti in qualche angolo remoto della nostra memoria, come pure qualche latinismo (liminare, peritarsi) o grecismo (prosseneta, apoftegma) incontrato qua e là tra le pagine di un libro.
Certo, il timore che l’operazione, nata da iniziativa popolare, si trasformi in uno sfoggio di erudizione fine a se stesso serpeggia tra le righe dei post lasciati in bacheca, allorché qualche membro del gruppo solleva l’eterno dibattito sul rapporto tra norma e uso linguistico: «La lingua è viva – scrive Simone – lo ammette anche l’Accademia della Crusca. Giusto adottare vecchie parole, ma senza l’accanimento di renderle immortali, e lasciare che nuove parole arricchiscano il vocabolario senza la pretesa di parlare un italiano “perfetto”. Le regole cambiano, quel che conta è la cultura viva del linguaggio». Gli risponde un altro membro, Alberto: «Evoluzione sì, ma evitiamo il compulsivo “usa e getta” di accenti e apostrofi…di immondizia ne abbiamo già troppa!».
E se iniziative come questa non fossero una forma di snobismo o di resistenza all’evoluzione, ma piuttosto auspicassero il recupero della capacità di rappresentarci con le parole il mondo nella sua complessità, con particolare riguardo alla sfera delle sensazioni, dei desideri, delle speranze dell’uomo? Nel grande romanzo 1984 di Orwell, il regime (di cui il personaggio del Grande Fratello è la muta icona) ostacolava il dissenso cancellando le parole scomode. Forse tante parole non bastano a creare mondi nuovi e migliori, ma senza di esse non vi è certamente alcuna speranza.

Carmela Bafumi

Foto: http://www.flickr.com/photos/rutty/2193213362/

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