Il Downshifting: vivere meglio, con meno

Alla scoperta del fenomeno sociologico del momento. Il downshifting è una filosofia di “rallentamento” dei ritmi di vita e dell’abbattimento del pensiero, secondo il quale “tutto è necessario”. Attraverso la presa di coscienza dei reali valori che appagano l’esistenza scopriamo che si può vivere bene – almeno quanto ora – anche con meno pretese, sia economiche che sociali.

Giornata pesantissima al lavoro. Sono le sei di sera. Finalmente stacchi e puoi tornare a casa. Ti sei svegliato presto perché il cane ha abbaiato alle quattro della mattina. Poi, alle sei e mezza, tuo figlio, bellissimo, di un anno, aveva fame. Tua moglie si è svegliata, ha imprecato e ha svegliato anche te. La sveglia era per le sette e un quarto ma tu eri già sveglio e incavolato nero da un pezzo. Ora, finalmente, torni a casa. Esci dal lavoro. C’è traffico. Esci alle sei e un quarto e sai che non arriverai a casa prima delle sette, sette e dieci. A quel punto nemmeno il tempo di togliere il soprabito e sei assalito da una serie di richieste da parte di tua moglie, di tuo figlio più grande, quattro anni, un amore. Il cane ti fa le feste. Tu non ricambi. Alle dieci di sera sei a pezzi e ti addormenti sul divano. Il giorno dopo sei pronto a ricominciare. Un altro giorno. Un altro pesantissimo giorno.
E questo per cosa? Per vedere la tua giovinezza andarsene lentamente tra traffico e lavoro? Per non riuscire a fare veramente quello che vorresti fare?
Se vuoi ribellarti a tutto questo, beh, sappi che sei un potenziale downshifter. Che non è un insulto. Anzi.
Downshifting letteralmente significa “cambiare verso il basso”. Detto così, però, non rende minimamente l’idea di cosa sia in realtà. Perché la traduzione libera di questo concetto dovrebbe essere “cambiare verso il meglio”. O, meglio ancora, “tornare a vivere in te stesso”. La lingua italiana è favolosa: ricca, armoniosa, suadente. Purtroppo, però, quando c’è da comunicare un concetto con una sola parola, è ancora meglio servirsi del pragmatico inglese.
Il downshifting è la filosofia del Duemila. È lo stile di vita che sta affascinando i sociologi e, perché no, gli psicologi da ormai un decennio. Ma nessuno lo conosce.
In un mondo sempre più teso al raggiungimento di obiettivi alieni rispetto a quelli del singolo, in una realtà continuamente di corsa, dove tu sei solo un ingranaggio (e nemmeno di quelli a basso costo e, quindi, possibilmente da ridimensionare), è chiaro che il soggetto, la persona, l’io pensante cartesiano non ha più lo spazio per sopravvivere.
Ed è così che dalla metà degli anni ’90 qualcuno cominciò ad aprire gli occhi, si svegliò improvvisamente e semplicemente (ma onestamente) chiese: “Ma perché tutto questo?”.
Il downshifting è esattamente la presa di coscienza che tutto quello che facciamo lo dobbiamo fare per un accrescimento anche personale, per una realizzazione di obiettivi anche (e soprattutto) individuali e non solo aziendali o comunitari. Downshifting significa impostare una vita basata su valori più corrispondenti al nostro cuore, realizzare ritmi di vita meno frenetici. Ma non necessariamente. Possono essere anche frenetici purché rispondenti a una scelta libera e cosciente e non imposta da altri.
Attenzione però, perché non tutto è oro quello che luccica.
La parola downshifting contiene pur sempre il prefisso down– al suo interno. Che letteralmente significa “giù”, “in basso”. E non a caso. Downshiftare vuol dire rinunciare a molte cose dalle quali ormai siamo assuefatti. Potrebbe voler dire rinunciare a comprare bei vestiti, rinunciare a due o tre telefonini, alle vacanze ai Caraibi e ad altre piccoli ma costosi vizi che ci siamo dati negli anni.
Per questo, il downshifting non è per tutti. Non è per chi lavora per mettere da parte i soldi della pensione, non è per chi spera di dare un radioso futuro ai propri figli, potrebbe non essere per chi proprio non riesce a rinunciare alla pay-tv.
Il downshifting è sostanzialmente un volontario ricalibrare i ritmi di vita con quelli del nostro cuore.
La prima cosa da fare, quindi, non è accettare o meno il fenomeno ma imparare ad ascoltare il proprio cuore.

Simone Schmalzbauer

Foto: http://www.flickr.com/photos/lazysoul/2406303392

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