I doni del lavoro

I doni della fatica

Abbandonati in questa società frenetica e turbinosa, perdiamo spesso di vista i piccoli tesori che ogni giorno ci vengono donati: lavorare è un mezzo di sostentamento, questo è sicuro, ma se ci si ferma un attimo, ci si accorge di quanto in più ci faccia ottenere, al di là dello stipendio. (Foto: Flickr cc Paolofefe)

I doni del lavoroI recenti scontri avvenuti a Piacenza, dove i lavoratori offesi nei loro diritti hanno ceduto alla violenza, è un triste evento che testimonia come troppo spesso, ormai, il lavoro abbia assunto una connotazione del tutto materiale e concreta (certamente importante), a discapito della dimensione spirituale, che, come si vedrà, può assumere un valore di assoluta importanza.
Accantoniamo l’equazione lavoro=stipendio, per concentrarci un attimo sugli altri benefici che si possono ottenere, magari meno materiali e immediati, ma di sicuro più soddisfacenti sulla lunga distanza e non solo.
La dimensione del lavoro occupa un posto in prima fila nell’evolversi di un essere umano, sia perché, volenti o nolenti, passiamo la maggior parte del nostro tempo a lavorare, sia perché è con ciò che troviamo un valido modo per esprimere noi stessi, migliorarci e migliorare, confrontarci con l’altro e realizzarci personalmente.
L’importanza del lavoro, una tematica sempre attuale, si protrae ben oltre il salario, seppur fondamentale: un lavoro svolto bene e con passione arricchisce l’uomo minimamente sul suo conto in banca, in massima parte nel suo animo, nella sua spiritualità.
Già Charles Baudelaire, poeta e saggista francese, nel 1860 si occupò, per un breve e intensissimo paragrafo del saggio I Paradisi Artificiali, del ruolo del lavoro nella formazione e nel completamento di un individuo.
Scrisse, infatti, che lavorare è un’apoteosi dell’ingegno umano, e con un esercizio così intenso, ci troviamo ogni giorno più vicini all’infinito, al sublime che si scopre, collocandoci, come la tessera di un puzzle, nell’armonia del creato, in comunione con i misteri della natura, di Dio e dell’universo.
Il punto è che Baudelaire colse il punto focale della questione: nel suo scritto, infatti, omise completamente qualsiasi riferimento alla materialità del lavoro, se non accennando al languido tepore che prova l’uomo esausto e soddisfatto del suo operato.
Il premio più grande per un lavoratore si trova non nel suo piatto, ma nel suo petto, nella sua spiritualità, ricchissima dei doni della fatica: la possibilità di rapportarsi con la società intera, usando appieno il proprio ingegno, la propria personalità, le capacità, il dolore e la soddisfazione. Sono tutti fattori concorrenti al raggiungimento di uno stato sereno.
Un uomo che affonda le mani in questi doni, consapevole dell’enormità di ciò che ha ottenuto per sé e per gli altri, è un uomo felice.

Davide Izetta

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