Corsi universitari online: quale futuro?

58mila studenti di tutto il mondo hanno iniziato il 10 ottobre un corso sperimentale di Introduzione all’Intelligenza Artificiale erogato online dalla Stanford University. É l’inizio di una nuova era? Qual è la situazione in Italia?

 

Il clamoroso successo del primo corso online della Stanford University ha superato le aspettative degli organizzatori e, probabilmente, fino ad ora nessun corso universitario aveva suscitato tanto interesse mediatico. L’attuale dotazione tecnologica a banda larga, la maneggiabilità e la potenza dei nuovi modelli di computer portatili, e le caratteristiche di Internet 2.0 garantiscono una ricchezza ed efficacia dell’esperienza di apprendimento mai raggiunta prima.
Dal 1873, quando Anna Ticknor decise di promuovere l’istruzione delle donne di Boston, inviando materiali di studio stampati a circa diecimila allieve, i corsi a distanza sono passati negli anni ’70, grazie ai CD, le audio- e videocassette, alla seconda generazione, di cui l’Open University britannica costituisce l’esperienza di maggiore successo, con 180.000 iscritti nel 2009. Sulla base delle ricerche promosse da questa istituzione si sta sviluppando l’attuale terza generazione, caratterizzata dall’e-learning, dove la “e” si riferisce al mezzo elettronico, ossia il computer.

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Ma a che punto siamo in Italia? Sulla scia delle esperienze dei Paesi anglosassoni molte Università italiane hanno sviluppato piattaforme destinate all’e-learning; primo fra tutti l’ateneo di Trento, università a cinque stelle, seconda solo a Bologna nel rapporto 2011 del CENSIS. Ma l’Italia sembra procedere a fatica e spesso il principale fruitore dell’istruzione online è lo stesso personale delle università.
Nel nostro Paese esistono 11 università telematiche ufficialmente riconosciute, in base al decreto interministeriale del 17 aprile 2003, che individua gli obiettivi dei corsi a distanza nel «migliorare l’accesso alle risorse di apprendimento e favorire l’avvio di nuove modalità didattiche». Questi atenei virtuali sono raggruppati nel portale http://unitelematiche.it ed i titoli da loro rilasciati hanno lo stesso valore legale di quelli delle Università tradizionali.
A questo punto ci chiediamo quanto l’esperienza di questi atenei abbia soddisfatto gli obiettivi fissati dal decreto del 2003. Le informazioni a riguardo scarseggiano ma particolarmente illuminante risulta l’Analisi della situazione delle Università Telematiche del gennaio 2010, documento ufficiale redatto dal CNVSU, il Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario. I dati riportati vanno dal numero di studenti (17.000 iscritti nel 2008/2009: meno dell’1% della popolazione universitaria italiana) a quello dei docenti di ruolo (42 docenti contro i 164 posti banditi).
Benché il quadro generale non risulti molto confortante, lo stesso documento dichiara genericamente che «vi sono certamente alcune situazioni abbastanza buone dal punto di vista organizzativo e della resa didattica, e buone pratiche che possono essere un riferimento per il futuro».
La strada dunque è ancora lunga, ma il corso sperimentale della Stanford University ci autorizza a ritenere che i tempi siano ormai maturi per un salto di qualità. Riusciranno gli atenei italiani a cogliere questa nuova opportunità, riscattandosi dalle inefficienze degli ultimi decenni?

Laura Marsano

Foto: http://office.microsoft.com/en-us/images/results.aspx?qu=e-learning&ctt=1#ai:MP900422589|mt:0|

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