52° Fuori Biennale di Arte Contemporanea a Venezia
Pierre Restany ricordato da Maggi
Cosa significa dedicare un’uscita alla visita del “Fuori biennale d’arte” a Venezia?
Significa regalarsi una giornata di immersione completa rimbalzando tra passato e presente futuribile. Significa passeggiare tra strette calli, esplorare palazzi gotici solitamente non aperti al pubblico e trovarvi installazioni iper tecnologiche che trasportano nell’anno tremila oppure incredibilmente dentro noi stessi.
Fuori Biennale d’arte è un mondo parallelo fatto di colori, materiali, suoni, immagini, sensazioni che vogliono comunicare la diversità dell’arte.
Creare un “fuori Biennale d’arte contemporanea” in una città unica come Venezia è un’occasione irripetibile e nello spesso tempo difficile da gestire, considerando gli intrecci di epoche, tematiche, materiali assolutamente diversi tra scatola (Venezia) e oggetto contenuto (l’opera d’arte). Gli spazi che la città offre agli artisti sono assolutamente magici e dialogano con essi in un infittirsi di rimandi crescenti creando un fervore di iniziative.
La città si risveglia e si offre in una veste sorprendente: ogni qualvolta si varca il portone di un palazzo inizia una nuova avventura. In una giornata come questa assaporo il bello di camminare per la labirintica Venezia, che mi disorienta e conduce, che ad ogni angolo mi regala nuove prospettive ed emozioni.
Le installazioni di cui parlare sarebbero innumerevoli, infatti non è bastata una giornata per scoprirle tutte (sono quarantadue i Paesi che hanno deciso di esporre nel centro storico), ma due più di tutte mi hanno colpita: una estremamente creativa e nostalgica (quella a cura di Ruggero Maggi) e una assolutamente tecnologica e sentimentale (l’installazione del Messico).
L’ingresso dell’installazione del Milan Art Center a cura di Ruggero Maggi è piuttosto inusuale. Mi trovo a percorrere una stretta strada nei pressi della chiesa dei Carmini e davanti a me compare un cartello che mi invita a fermarmi, ma intorno non c’è nulla, non capisco dove sia l’opera d’arte.
Mi giro, a fianco del vecchio e malconcio cancello in ferro ci sono sei campanelli rotondi e attorno ad uno vi è attaccato un adesivo che invita a suonare. Lo faccio, il portone dopo qualche secondo viene aperto; percorro con qualche titubanza lo stretto cortiletto sovraffollato di vasi e piante un po’ trascurate e varco un portone in legno nuovo di fabbrica. Eccomi qui, entrata nella “Camera 312”, l’installazione dedicata a colui che negli anni Sessanta fondò il Nuovo Realismo: Pierre Restany. Proprio lui, figura carismatica dell’arte contemporanea, geniale e fervido critico d’arte morto nel 2004 all’età di settantatre anni e che ancora tanto fa parlare di sè per i suoi pensieri, gli scritti, ed i gesti.
Il gioco composto in queste stanze da Maggi è estremamente sapiente: prima di tutto ha riposizionato l’arredamento originale della camera 312 dell’Hotel Manzoni di Milano dove Restany visse per oltre trent’anni. E già, questo è un gesto molto incisivo che rappresenta la presenza di Restany come uomo carismatico. Ma Maggi è andato oltre, ha colto il messaggio che il critico francese per anni ha cercato di diffondere, cioè lo stretto legame tra l’arte e la quotidianità. Così la sua camera d’albergo (quotidianità) diventa opera d’arte perché estratta dalla sua collocazione originale e spogliata da ogni sua funzionalità (un po’ alla maniera di Duchamp).
Il mobilio acquista significato per il suo forte potere evocativo. Maggi ha creato un’opera sbalorditiva invitando settantatre artisti (tra cui Ferdinando Andolcetti, Cosimo Cimino, Mario Commone) che hanno gravitato intorno alla vita di Restany e che in qualche modo ne hanno applicato i pensieri. Sentimentale e non casuale è la scelta del numero di artisti convocati, uguale all’età che Restany aveva in punto di morte, gli anni della sua esistenza dedicati all’arte. Maggi ha regalato ad ogni artista duecento post-it (di dimensione 7x7centimetri), i piccoli e quasi mitici foglietti gialli con un lato adesivo. Ognuno di loro aveva il compito di creare un messaggio artistico utilizzando quei foglietti in ricordo del defunto Pierre e di attaccarlo alle pareti della mitica camera 312 ricostruita a Venezia. Il risultato è una sorprendente seconda pelle fluttuante e decorata nelle maniere più svariate: a china, con stampe digitali, ad acquerello, con frammenti fotografici, con ritagli di giornali. Tutto ciò per permettere ad ogni artista di esprimersi con il linguaggio che più gli è consono.
La scelta del post-it come mezzo e supporto comunicativo non è casuale: nella vita di tutti i giorni è sinonimo di “memoria” del “riportare alla mente”; è il più classico oggetto del quotidiano utilizzato per ricordare…ed in questo caso serve per ricordare Restany che utilizzava migliaia di questi foglietti per fissare flash della sua fervida mente sempre in attività. Più mi guardo intorno e più capisco il sottile ed intelligente gioco studiato da Maggi in questa “Camera 312 – promemoria per Pierre”. Sicuramente la successione di stanze ed ambienti va vista, assaporata e visitata; le parole non rendono giustizia al grandioso lavoro che essa rappresenta e non descrivono a sufficienza la carica emotiva che quei 14.000 foglietti gialli appiccicati “ad arte” alle pareti, sui mobili, sul soffitto trasmettono all’ignaro visitatore.
All’uscita mi regalano una foto che raffigura Pierre Restany; cambiandone l’inclnazione alla luce si legge una sua celebre frase: “La vita è colpa dell’arte”.
Queste poche parole mi accompagnano lungo le calli quasi deserte e la mia mente continua a pensare, stimolata da ciò che Restany è stato e continua ad essere per l’arte.
Elena Sandre
Per approfondimenti sull’installazione e per vedere le foto visita il sito www.camera312.it