Il suggestivo silenzio delle Incoronate
Luogo / non-luogo in cui perdersi e ritrovarsi
Dopo un viaggio di quasi due ore, scendo dall’aliscafo a fasce gialle, bianche e blu e dai piccoli oblò ovali: sembra il Nautilus, la barca che attraversa il tempo e le dimensioni. Mi estrania da un mondo conosciuto cosparso di segni che mandano stimoli alla nostra memoria per condurmi in quello che oserei definire “il paradiso del nulla”, dell’assoluto, del silenzio. Stiamo sbarcando alle Incoronate (Kornati in croato).
Questo arcipelago, che nel Mediterraneo può vantare il maggior numero di isole (centoquarantasette, ma il numero non è certo), comprende una superficie di circa trecentoventi chilometri quadrati di cui tre quarti appartengono al mare e un quarto della superficie alle isole, isolette e rocce per la maggior parte disabitate. I pescatori di questi luoghi amano dire che le isole siano trecentosessantacinque: una per ogni giorno dell’anno; non è vero ma è bello crederci. É un arcipelago che definirei denso di natura con la mancanza quasi assoluta di civiltà. Quando ci si addentra in barca, le isole accostate une alle altre si confondono, formando un’unica cornice, ma dopo pochi metri cambia le prospettive, i punti di vista si mescolano, si accavallano le punte di tutte le isole dalla bizzarra forma conica. Navigare tra una e l’altra è come andar per laghi: gli specchi d’acqua si susseguono a perdita d’occhio, disorientando ed emozionando.
Dal 1980 l’arcipelago è classificato, nella quasi totalità delle isole, come Parco Nazionale, al fine di preservare questa meraviglia dall’uomo e per l’umanità. É anche una pescosissima riserva marina: branzini, dentici, astici, orate, saraghi hanno trovato qui il loro habitat ideale.
Più che un luogo, lo definirei un non-luogo in cui è l’assenza a comunicare, il vuoto ad imprimersi negli occhi. Pitture astratte, materiche. Gli isolotti appaiono come tante schiene di balene che emergono dal mare. Non ci sono animali, eccetto gabbiani e cormorani che, statuari, sono i veri padroni di casa. Non ci sono alberi, ci ha pensato Venezia ai tempi della Serenissima Repubblica; ha disboscato tutto per utilizzare il legname per la costruzione delle galere che componevano la sua invincibile flotta. Il tempo particolarmente rigido ha impedito poi la crescita di qualsiasi altro arbusto per cui il paesaggio si presenta ai nostri occhi con i colori delle sue rocce che tanto somigliano a quelle delle nostre Dolomiti bellunesi, composte da carbonati di calcio e dolomite, entrambe così profondamente scolpite dalla corrosione delle acque e dei venti e modellate dai secoli.
L’Adriatico orientale è tra i mari più azzurri del mondo, lo so dovrei esserci abituata dato che mi ci immergo da quando sono bambina, eppure quel blu profondo non smette di affascinarmi, così intenso e quasi denso. Qui alle Incoronate sembra ancora più compatto ed esaltato dal contrasto con le rocce bianco-grigiastre che formano le isole dell’arcipelago. Le profondità marine raggiungono i cento metri, e pensandoci stando a galleggiare su questa barca per turisti, non è poi così rassicurante. In base all’ora del giorno, all’inclinazione del sole, alla vicinanza delle rocce all’acqua, il mare sembra cambiare colore continuamente: turchese, azzurro, celeste, blu, verde bottiglia, quasi viola a volte. Le Incoronate sono sempre le stesse, eppure sono così cangianti, trasformiste, stupefacenti. E in questa cornice perfetta, il cielo sembra fiero di specchiarsi nel mare.
Questo è il paradiso ideale per chi sa apprezzare la solitudine intatta e la natura meravigliosa. Mi concentro cercando di isolarmi dalle voci degli altri turisti che come me stanno vivendo questa gita. Mi guardo intorno, le isole sono incantevoli, ma poi penso che in un attimo, a seconda degli umori del vento e del mare, quando scoppiano temporali improvvisi (i neverini come li chiamano da queste parti) possono diventare terrificanti, trasformando paesaggi idilliaci in squarci spaventosi. Fortunatamente oggi è una meravigliosa giornata di sole che valorizza i chiaroscuri e una lieve brezza attenua l’arsura del sole visto che alberi sotto i quali ripararsi non ce ne sono. Il mare è piatto, le uniche onde sono quelle prodotte dal passaggio delle altre imbarcazioni.
Ci stiamo addentrando tra le isole scovando baie tranquille con acqua cristallina in cui immergersi, grossi scogli dalle forme più insolite pressoché disabitati, isolotti battuti e plasmati dalle onde, chiesette costruite da eremiti, rovi tra le rocce. Ma l’elemento che più mi colpisce, che sembra quasi essere il più caratteristico su queste isole sono i muri a secco (chiamati familiarmente masiere) che per chilometri serpeggiano per difendere poderi, recintare le pecore che altrimenti potrebbero scappare: ma scappare dove, su un’isola disabitata con un diametro non superiore a poche centinaia di metri?
Le masiere sono tanto alte da non permettere alle pecore di saltarle e di penetrare nel pascolo degli altri pastori e sono così larghe da non poter essere danneggiate dalla forza del vento. Questi frammenti, che ricordano la Grande Muraglia, sono il segno di popolazioni che abitavano in passato questo arcipelago e che avevano un fortissimo senso di appartenenza. Ancora oggi difendono caparbiamente i loro fazzoletti di terra senza né acqua potabile né luce. Ed è qui tramite quei muri a secco che parlano migliaia di destini umani, destini racchiusi in una storia semplice, fatta non di grandi eventi ma di fatica, di semplicità, di barche ben costruite, di pascoli di pecore, di pesca in alto mare, di stradicciole e di casette sparpagliate. Ascoltando le pietre dei muri a secco si sentono le voci di piccoli uomini che hanno lottato per formare il loro destino in un ambiente così scarno, così aspro, dichiarando la loro ostilità a vivere in una terra in cui le distanze vanno solcate con la forza delle braccia.
Ci addentriamo sempre più tra le isole, ma sono colta da uno strano senso di disagio. Non sono abituata a tutta questa “desolazione”, a questa mancanza di punti di orientamento. Nell’arcipelago si contano circa trecento case spartane con i muri sgretolati e il tetto in coppi ormai ingialliti.
Mi mancano i riferimenti culturali della mia vita di tutti i giorni. È strano, questo silenzio mi rimbomba nelle orecchie e faccio fatica ad abituarmici, a scordare il caos della mia vita di tutti i giorni. Queste abitazioni sono ormai state trasformate in ricoveri per l’agricoltura e la pesca; alcune sono diventate ristoranti per turisti. Ed è proprio in una di queste case in cui la guida ci porta a mangiare: ottimo pesce alla griglia gustato su di un pontile in legno sospeso sul mare.
Proseguendo la navigazione mi accorgo che non c’è un carattere delle Incoronate che prevalga sull’altro, ed è forse per questo che sono così capaci di coinvolgere e stupire nella loro genuina immobilità.
Vivo e sento la forza primordiale della natura che qui regna sovrana. Queste isole mi hanno in qualche modo assorbita. Forse è questa sensazione che le rende così uniche ai viaggiatori che solcano i loro mari. È difficile da spiegare, ma si diventa frammento di quelle lacrime di stelle, piante dalle stelle disperate dall’abbandono di Dio della Terra.
Una leggenda che regala ancora più fascino all’arcipelago narra che le Incoronate siano nate da un pugno di rocce avanzate dopo la Creazione gettate da Dio in mare. Contento del risultato decise di lasciarle là com’erano a suggello della sua opera.
Trascorro un pomeriggio incantevole tra questi isolotti dalle forme e nomi strani; ammirandole capisco che sono belle proprio perché si mostrano senza artifici e pretese.
La giornata si sta concludendo e faccio ritorno all’aliscafo. Ho esplorato solo una piccola parte dell’arcipelago (quella più a nord): per vederlo tutto servirebbero una barca propria e almeno tre giorni continuati di navigazione. Comunque, porto dentro di me immagini e sensazioni profonde di questi scenari mozzafiato che per la loro aspra bellezza hanno lasciato un segno nel cuore.
Mi riprometto di trovare il tempo per conoscere più a fondo questo labirinto di rocce e mare, e di cercare anche il coraggio di affrontare questo viaggio che grazie al suo silenzio mi potrebbe aiutare a scavare dentro…ma questo è tutto un altro discorso.
Elena Sandre