Il Risorgimento in mostra – Mantova
Suggestioni e riflessioni tra le tele di Palazzo Te
L’artista è un soldato che combatte per la patria con risolutezza e determinazione e l’arte è uno strumento di progresso sociale, l’espressione di una nuova civiltà. Questo è in estrema sintesi il pensiero di Francesco Netti, critico raffinato, pittore ed esponente di rilievo della cultura artistica pugliese e napoletana della seconda metà dell’Ottocento, in riferimento al ruolo attivo dell’arte in piena epoca risorgimentale. Ed in questo compendio possiamo trovare lo spunto originale della mostra in corso a Mantova, presso le Fruttiere di Palazzo Te, dal titolo “La nazione dipinta – storia di una famiglia fra Mazzini e Garibaldi” (iniziata il 14 ottobre scorso, terminerà il 13 gennaio 2008). La famiglia citata è la famiglia Sacchi, di origine mantovana, la quale partecipò con estrema passione ai moti risorgimentali. Fra tutti, Achille Sacchi e la moglie Elena Casati Sacchi si distinsero per l’ardore con cui sostennero le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e le ardimentose iniziative di Giuseppe Garibaldi.
La mostra ha il notevole pregio di schiudere al visitatore una nuova finestra sugli anni del Risorgimento italiano, ponendo alla sua attenzione l’arte, in particolare la pittura, generata dall’ardore e dalla partecipazione attiva degli artisti in quegli anni rivoluzionari, a partire quindi dal 1848. Lo scopo, a mio giudizio raggiunto in pieno, è quello di lasciare a margine l’aspetto puramente didattico degli eventi per concedere spazio alle emozioni vigorose di chi sul campo di battaglia ha combattuto e sofferto e di coloro che hanno dovuto sostare a lungo sulla soglia di casa in attesa del ritorno del proprio caro: madri, mogli, figli. É questa visuale dal basso che rende la mostra originale ed efficace. Per questo non sono presenti in catalogo molti dei grandi nomi della pittura ottocentesca: manca, ad esempio, Giovanni Fattori, esponente di spicco del movimento dei Macchiaioli, il quale ha celebrato in più opere la battaglia di Solferino e San Martino, nel mantovano, e quella di Magenta, nei pressi di Milano, così come mancano le opere di spicco di Francesco Hayez, rimaste per lo più a Brera (Hayez è comunque presente in mostra con una versione rivista della sua opera più celebre, “Il bacio”, e una bellissima tela intitolata “La Meditazione”).
É quindi concesso più spazio ad artisti meno noti, ma in grado ugualmente di emozionare il visitatore portandolo fra le seconde file degli schieramenti in battaglia, nelle case dei soldati feriti, fra le barricate delle città del sud, nelle piazze dei paesi al momento della partenza dei coscritti. Attimi di vita che non trovano degno spazio nei manuali di storia, ma che della Storia sono da sempre il cuore e l’anima. É in scena il rito del sacrificio dei molti in favore della memoria dei pochi.
Fra gli artisti presenti, una menzione particolare va a Girolamo Induno, il quale riesce a incorniciare in una invidiabile perizia tecnica le proprie emozioni rivolte alle suggestioni, ai presentimenti e ai dolori provocati dalle guerre risorgimentali. Lui, come molti altri, ha avuto parte attiva nelle battaglie come garibaldino, rimando anche ferito durante l’assedio dei francesi alla Porta di San Pancrazio di Roma. Meravigliose le tele “Triste presentimento” (una fanciulla seduta sul letto osserva sconsolata il ritratto dell’amato) e “La sentinella” (malinconico soldato che, fumando, osserva avanzare il fronte di battaglia). Ma, come detto, più che i nomi degli artisti, sono i temi di riflessione e suggestione i veri protagonisti della mostra. Giusto consegnare quindi volto e nobiltà ai personaggi che hanno dato un corso decisivo agli eventi di quegli anni (su tutti, Mazzini), ma giusto dare anche spazio ai moti di spirito e alla generosità di chi ha vissuto e lottato a sostegno degli ideali risorgimentali, come appunto gli esponenti della famiglia Sacchi e Casati. Giusto concedere qualche scorcio di battaglia (come ne “La battaglia di Solferino e San Martino” di Gerolamo Induno), ma giusto anche dare rilievo alla devastazione e alla povertà che l’Unità d’Italia ha portato con sé (mirabili le opere di Luigi Rossi “La scuola del dolore”, Giacomo Gandi “Il piccolo calzolaio” e Raffaello Gambogi “Gli emigranti”).
La mostra di Mantova è una mostra coraggiosa e di assoluto interesse: puntare sulla qualità delle opere piuttosto che sui grandi nomi e porre l’attenzione sui temi umili dell’epoca risorgimentale tralasciando gli eroismi eccessivi da manuale scolastico è di certo una bella scommessa, ma credo che il proposito degli organizzatori di fare cultura sul Risorgimento, usando come filo conduttore le gesta e le passioni di personaggi legati al territorio mantovano e di proporla in maniera originale, possa alla lunga ripagare e giustificare l’azzardo.
Mantova è una città d’arte che merita una visita a prescindere da ogni evento, ma questa mostra le concede un valore aggiunto non indifferente.
Graziano Martini