L’arca di storia: in ricordo di Vincenzo Consolo

Con Vincenzo Consolo scompare la terza grande figura della triade letteraria formata insieme a Bufalino e Sciascia. Il sorriso dell’Ignoto marinaio ha il merito di averci restituito capsule di memoria rimosse dalla storia.

Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio

Vincenzo Consolo (1933-2012) è stato uno degli scrittori che hanno meglio esemplificato l’idea della “sicilianità”. Nella numerosa bibliografia dell’autore, il maggior rilievo lo ha forse “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (1976). Protagonista del romanzo è il barone Enrico Pirajno di Mandralisca, che si muove sullo sfondo degl’infamanti misfatti avvenuti ad Alcara Li Fusi, una pagina di storia rimossa, all’indomani dell’Unità d’Italia. Lo sviluppo della trama non è però fluido e lineare, ma procede bensì per interne torsioni e riavvolgimenti.
Consolo, nel Sorriso dell’Ignoto Marinaio, rivela la sua vocazione di sperimentatore: la sua scrittura è tesa, iperletteraria, arcaistica, con inserti dialettali, si caratterizza per l’uso dell’iperbole barocca, concettosa e altisonante; la critica, infatti, non ha mancato di individuare, isolandole, le cifre e le miscele dello stile. Nelle opere successive, quest’impronta così peculiare sortirà esiti più manierati, qui però risalta ancora intatta la genuinità dell’ispirazione e la trasparenza delle idee. I numerosi personaggi che si intrecciano, ci parlano attraverso le loro tracce reali: fonti di vario tipo, dalle epistole, vere o simil-vere riprodotte in varie appendici archivistiche, fino alle confessioni dei carcerati impresse sui muri del Castello Gallego: anatemi e moniti fermi nell’evidenza lapidaria dell’epigrafe.
Come in un Bildungsroman, Enrico Pirajno segue un percorso di evoluzione: nell’epoca in cui nacquero le grandi nomenclature ordinatrici, da collezionista di conchiglie, è attratto dal gusto quasi melico per le nuove coniazioni scientifiche; osserva il mondo intorno con il suo “occhio oggettivo”; incasella la realtà con fredda logica, ma si accende d’improvvisa passione civile quando l’anarchia dell’ingiustizia agisce a danno dei più umili.
Ma l’autore è anche maestro nel tratteggiare descrizioni d’ambiente, soprattutto di scorci locali e atmosfere: non soltanto borghi ameni e marine solari ma anche valloni invasi da luce urticante e paesi stagnanti, dall’aria sabbiosa e malsana, dove odi sordi e malumori covati sono destinati a scoppiare. Il ritratto d’ignoto marinaio, opera di Antonello da Messina che fornisce il titolo al romanzo, trasmette invece il fascino arcano dell’archetipo e la magica sospensione espressiva di un’icona.
Al lettore è lasciato di scrutare il senso recondito della storia: essa è per Consolo centrifugazione caotica e arbitraria di avvenimenti che, come nel segreto racchiuso nella geometria naturale delle conchiglie spiraliformi collezionate dal protagonista e nella loro misteriosa perfezione circolare, trova il suo significato in un gioco sottilissimo di rimandi sincronici e analogici tra persone, cose e avvenimenti; galleggia su di un fondo d’immobilità e gira intorno a se stessa. La soluzione sta forse proprio in questo eterno ritorno: dove una spirale di fatti si chiude, la Storia riparte.

                                                                                                   Marco Cesareo

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