Steve McCurry in mostra al Macro di Roma: quando la cronaca si fa pura fotografia
Al Museo Macro di Roma in mostra le più intense immagini di Steve McCurry. Il reporter americano fa dei suoi scatti una miscela di tecnica sopraffina, oniriche visioni e lucida cronaca, trasformando la fotografia in una trasognata ma cruda realtà. (Foto: link)
Non poteva entrare in una macchina fotografica migliore l’ultimo rullino prodotto dalla Kodak; Steve McCurry ha chiesto di poter avere per sé gli ultimi scatti Kodakchrome, pellicola che ha segnato la storia della fotografia. Il progetto “The last roll” del fotografo statunitense ha messo la parola fine alla gloriosa epoca della fotografia su supporto fisico, lasciando il futuro al digitale. Famoso soprattutto per essere colui che ha fotografato il celebre ritratto di una ragazza afgana rifugiata in Pakistan a causa della guerra degli anni ’80, McCurry ha pubblicato lo scatto su National Geographic, facendo diventare quegli occhi il simbolo del conflitto in Afghanistan e, probabilmente, uno degli sguardi più conosciuti della storia.
Saranno in mostra al Macro di Roma fino al 29 aprile gli scatti più suggestivi del fotografo della famosa compagnia Magnum, in un ambiente ricavato dall’ex macello del Testaccio, composto da semisfere che alludono alle tende dei popoli nomadi, una addosso all’altra, anzi, una congiunta con l’altra, a segnare un percorso che guida il visitatore e lo accompagna come in un villaggio da una tenda all’altra, senza mai dover chiudere la porta dietro di sé.
L’evidenza della straordinaria tecnica di McCurry si ha nei ritratti, sempre perfettamente eseguiti, con una nitidezza ed una profondità di campo precisissima, gli occhi sempre a fuoco, come se il fotografo volesse collegare lo sguardo della persona ritratta direttamente alla propria macchina fotografica. Lo sguardo così perfettamente analizzato dall’occhio meccanico della fotocamera è sovente triste, impaurito, ma magari anche sollevato, felice come in certi monaci yemeniti che appaiono negli scatti del reporter oppure certi pescatori del sud-est asiatico. Mai, nelle stampe, vi sono sguardi morti, assenti. Esplicativa del suo fotografare è una citazione del reporter: «Cerco il momento indifeso, l’anima più genuina che si affaccia, l’esperienza impressa sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che quella persona può essere, una persona colta sopra un paesaggio più ampio, che potremmo chiamare la condizione umana».
L’indiscutibile tecnica del McCurry fotografo si unisce ad una sensibilità umana straordinaria, caratteristiche sublimate in ritratti che trasudano intimità, anche quando a cingere d’assedio i soggetti c’è la guerra, la fame e la paura. Infernale e al tempo stesso straziante uno scatto del Kuwait, dove tre dromedari attraversano un mare di petrolio sotto un cielo di fuoco e fumo, un orizzonte solo accennato nello scatto, come ad esibire tutta la potenza e la furia delle fiamme. I colori delle opere del reporter sono sempre saturi, l’idea è quella di un mondo variopinto, disordinato a volte ma sempre e costantemente nuovo, mai domo, in evoluzione, anche negli scatti che ritraggono paesi fermi a decenni (se non secoli) fa.
Impressionanti gli scatti delle zone di guerra, con la costante idea che McCurry riesca a trovare la lucidità per sfiorare le corde di immagini eteree anche nei momenti peggiori, come se in lui il genio visivo fosse cosparso della lucidità del giornalista di guerra.
Igor Bortoluzzi