.|Viaggio e treno|.

L’aria uggiosa avvolge il paesaggio. Il finestrino, oltre il quale sfrecciano lenti le case, le strade, gli alberi, il mare, si frammenta in tante piccole gocce d’acqua.
Seduto sul sedile, osserva con noia quanto lo colpisce dell’esterno. Il mare in tempesta, che sembra diventare un tutt’uno con il cielo, grigio e profondo, danza vorticoso, succhiando e risucchiando il primo lembo di costa, lasciando dietro di sé un vago vapore misto a schizzi.
La prima fermata. Un cartello blu con una scritta bianca. Il treno si ferma dando uno strattone. Le gocce diminuiscono e si posano verticali sul finestrino.
La velocità aumenta nuovamente. Una voce elettrica proviene da un telefono. Una ragazza sta parlando con un cellulare all’orecchio, gesticolando e rispondendo alle probabili domande che le vengono poste.
Il treno è ripartito. Sono i sedili blu, adesso, ad attirare l’attenzione. La galleria nella quale si è immerso nasconde ogni cosa, rende tutto nero all’esterno.
Di nuovo il mare, a colorarsi di scuro, di fulmine, di cielo in tempesta e l’osservazione continua, un po’ intimorita, frastornata. Sul sedile di fronte, un gattino dentro un trasportino di plastica. Miagola premendo la zampetta contro la piccola grata grigia. La libertà sarebbe il più grande dono per lui.
Il treno rallenta, è dentro un’altra galleria. Dal finestrino, sul muro, si intravedono delle strisce bianche, dipinte sulle pareti, che salgono e scendono con il movimento.
Di nuovo il mare, il cielo, il sole accucciato dietro nuvole preoccupanti, che sembrano aver abbracciato in un solo istante il mare e l’orizzonte, cancellando l’esile linea che lo distingue dal resto. In lontananza, dove il mare si fa più ampio, il cielo azzurro fa la sua parte, con qualche piccola nuvola bianca, illuminata da una luce fioca.
Una stazione corre via, sotto gli occhi, senza aver meritato la fermata del treno. Intanto non piove più, ma le montagne a pochi chilometri minacciano burrasca.
La giovane ragazza seduta di fronte ha un giornale sulle gambe, una rivista femminile. Ma non la sfoglia. Rilassata, con lo sguardo lungo e inespressivo, curiosa fuori dal finestrino, con le braccia incrociate in grembo, sopra il golfino rosa spento.
Il treno ha ripreso velocità. Corre, sembrando quasi sfiorare il mare, che si agita, divampa, impazzisce, rumoreggia, si infrange, sopra lo scoglio appuntito. E poi di nuovo, lungo il rettifilo piano, con un cielo sempre meno turchino e sempre più di ferro.
La galleria inghiotte il proiettile lanciato contro il vento. Dapprima feritoie lasciano trasparire la luce, a tratti. Poi il buio per un istante, e di nuovo la luce.
Quindi la nebbia, che protegge le case della cittadina, che dal mare sale su, fin sotto la collina.
Fermata.
Il vociare segna il via vai dei passeggeri. Un uomo con un cane scende tenendosi dal corrimano. Una donna ben vestita, elegante, sale, prendendo posto accanto. Il suo profumo colonizza l’aria, mentre la pioggia, già temibilmente annunciata, ha ripreso a scendere leggera.
La velocità torna ad aumentare, tutto riprende a scorrere.
Un uomo ben vestito si avvicina. Ha un fare cortese. È il controllore. Al suo arrivo, tutti, di scatto, afferrano le borse e i portafogli. La ragazza infila la mano nella tasca ed estrae il biglietto. Il controllore prosegue con il vagone successivo.
Il cielo sta tornando sereno, anche se la minaccia perdura. L’aria si è come polverizzata, e la nebbia guarda severa dalle colline che circondano il treno.
Ancora il buio della galleria, il nulla della linea bianca sempre uguale, che si muove a zigzag sulla parete. I pochi scampoli di luce, tra una galleria e l’altra, rivelano un paesaggio aspro e selvaggio, attorcigliato sopra il mare, che lo brama vorticoso.
La ragazza gioca ora con il suo gatto, infilando la mano dentro la gabbietta e sollecitandolo con carezze. Lui ringrazia e ricambia leccando la sua padroncina.
La galleria è più lunga delle altre. Alcune feritoie, e poi di nuovo il buio.
Ancora un’altra stazione. Questa sarà l’ultima prima della fermata. Le persone salgono e scendono, in un ricambio continuo di profumi e identità.
Riprende la corsa. Ormai il buio è terminato, ora c’è solo spazio per la luce, che durerà fino a quando non giungerà la notte.
L’orizzonte appare terso, limpido, luminosamente circondato da colline e coste biancheggianti.
Uno dei sedili vicini è tutto bagnato. Dal soffitto continuano a cadere delle gocce silenziose, che, ingannando tutti, lo avevano abbracciato con impercettibili ticchettii. Le borse sono salve, nessuna si è bagnata.
Ormai ci siamo, l’ultima fermata. Il treno ondeggia, quasi festoso. La destinazione è raggiunta. Fuori si vedano i palazzi della città che sorridano, immobili, mentre le finestre brillano di lucette accese. Il sole è disparso nel cielo.
La velocità diminuisce, il treno si ferma. Binario otto.
Il silenzio lo avvolge per qualche minuto.
Fra poco sarà il turno di un altro viaggiatore.

Marco Papasidero

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