Vecchi docks, goodbye!

Caduta e ascesa delle Docklands, i vecchi quartieri portuali di Londra.
Per molto tempo considerate aree degradate e pericolose, sono state oggetto di un lungo processo di riqualificazione con una nuova destinazione d’uso: simbolo della rinascita finanziaria mondiale.

Al di là del Tower Bridge, lontano dal cuore pulsante della City e dalla gente indaffarata che si muove dentro i suoi confini, seguendo verso est il tracciato del fiume, esiste un territorio sconfinato.
È il quartiere dei Docklands, l’area portuale di Londra, la zona della città più segnata dalle trasformazioni operate dall’uomo nei secoli.
A bordo della D.L.R., la metropolitana che corre in superficie e che connette queste vaste zone portuali al centro, si và alla scoperta di nuove prospettive di Londra, sempre in equilibrio tra passato e futuro.
Fuori dai percorsi consueti, tra le nebbie galleggianti sul Tamigi, scorre davanti agli occhi un enorme complesso urbano, un laboratorio di sperimentazione architettonica sempre più al centro di un vasto progetto di ammodernamento.
Quelli che una volta erano considerati quartieri degradati, oggi sono un curioso assembramento di grattacieli, appartati e solitari, come fossero il nucleo di una città differente.
Ci si chiede come questa città di paludi, povertà e immigrazione, abbia ripreso a vivere, trasformando l’abbandono in riscoperta.
La ragione è racchiusa nella sua storia.

Originariamente la penisola nell’est-end di Londra, Isle of Dogs, con la sua particolare forma a ferro di cavallo, era una palude scarsamente abitata.
L’urbanizzazione avvenne per tutto il ‘700 e metà dell’’800 con il completamento dei Royal Docks, i più grandi magazzini portuali del mondo.
Man mano che i bacini accrescevano la loro importanza, un numero sempre maggiore di lavoratori portuali si stabilì sulla penisola.
Durante la seconda guerra mondiale, i bacini, che vennero pesantemente bombardati, furono un bersaglio ovvio per le forze di Hitler: un considerevole numero di civili rimase ucciso ed una massiccia distruzione colpì l’intera area.
Poi, il definitivo declino, reso ancor più precipitoso dall’entrata sulla scena del traffico navale dei container, che i docks non erano in grado di gestire.

Dalla fine degli anni ‘60 in avanti, questa città di acquitrini artificiali ed edifici di mattoni bruni precipitò nel totale abbandono, trasformandosi in una città fantasma sospesa tra pontili fradici, in balia delle maree.
Un luogo da evitare, risucchiato dalla desolazione e svuotato di anime e di senso, con pochi sopravvissuti brancolanti in un’atmosfera da post-catastrofe.
Alla fine degli anni ‘70 avviene una svolta nel destino di queste aree, il governo della Thatcher elaborò un piano strategico per la riqualificazione dei Docks attivando un vasto piano immobiliare, destinato alla trasformazione di tutto il paesaggio dei docks, come polo finanziario della città.
Venne istituita negli anni ’80 la London Docklands Development Corporation, un ente che fece da intermediario tra il governo centrale e il settore privato.
Gran parte della fonte economica primaria venne fornita dalle imprese private, con lo scopo del recupero ambientale e paesaggistico lungofiume.

Il lungo processo di risistemazione dell’area culminò nel Canary Wharf , un complesso di edifici moderni, sede di banche e società finanziarie, ma anche di giornali e di agenzia di stampa.
La creazione di nuovi modelli di sviluppo architettonico, insieme al risanamento  delle infrastrutture di trasporto e al fabbisogno di soluzioni abitative, contribuirono a migliorare la qualità di vita del tessuto sociale, tanto che si è assistito ad un processo di cambiamento: dal quartiere di una zona proletaria, ad uno della upper class.
Passeggiando sui percorsi pedestri che costeggiano le sponde del fiume è facile notare numerosi pub, ristoranti, locali, of course, perché anche il tempo libero abbia un senso.
All’estremità sud dell’isola, l’ingresso del Greenwich Footway Tunnel, un passaggio pedonale sotto i Tamigi del 1902, la collega con il pittoresco villaggio del Greenwich.

Questo  tranquillo sobborgo situato sulla riva nord, custode delle antiche memorie dell’imprenditoria mercantile, profuma di salsedine.
Fortemente caratterizzato dalla presenza del fiume, il borgo mantiene intatto tutto il fascino dei racconti legati al mare e alla navigazione, come elementi chiave nella formazione dell’identità storica e culturale della Gran Bretagna.
La presenza istituzionale di monumenti come il National Marittime Museum, il Cutty Sark e l’Old Observatory,danno lustro al piccolo villaggio richiamando ogni anno numerosi turisti.
Simbolo indiscusso dell’intera area è il Greenwich park, il quale offre un panorama a dir poco sorprendente, la visione surreale dei grattacieli delle Docklands preannunciato dalla meravigliosa vista dell’antica architettura della Queen’s House, lo splendido palazzo in stile palladiano.
La natura qui è rigogliosa, scandita da brevi sentieri silenziosi che attraversano il parco, ideale per passarvi gli usuali momenti “pure english” : muniti di un buon libro, ci si sdraia sull’erba per una rilassante lettura.

È da quassù che lo sguardo si perde all’orizzonte, per fermarsi sul Canary Wharf Tower, il grattacielo d’acciaio più alto di Londra, che fino ad una decina d’anni fa svettava come un matitone incongruo in un panorama vuoto di vita intorno, laggiù nelle Docklands.
Oggi è il simbolo della rinascita finanziaria mondiale, della sfida delle grandi trasformazioni, con la quale ne ha condiviso splendori e miseria, caduta e ascesa.
Londra è la città più mutante del pianeta, ogni tanto si eclissa per cambiare pelle, per ripresentarsi diversa, ma è capace di riconquistare tutto il suo appeal.

Alessandra Mannarella

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