Un processo al San Ferdinando

Il plagio de La Figlia di Iorio di D’annunzio

Inaugura la stagione del Teatro San Ferdinando di Napoli lo spettacolo “Delitto di Parodia, il processo D’Annunzio – Scarpetta” che racconta lo svolgimento del processo tra il sommo vate Gabriele D’Annunzio e il commediografo ed attore comico napoletano Eduardo Scarpetta, reo di plagio, avendo messo in scena l’opera Il figlio di Iorio parodia dell’opera dannunziana La figlia di Iorio. Nel centenario del processo, tenutosi nel 1908 a Castel Capuano, Francesco Saponaro ha diretto una drammaturgia creata da Antonio Marfella, Antonio Vladmir Marino, Luciano Saltarelli e lo stesso Saponaro. Lo spettacolo alterna scene teatrali e scene cinematografiche. Le prime incorporano le esilaranti prove delle parodia e la travagliata vicenda processuale; nelle seconde vengono proiettate immagini a colori con audio dei periti Di Giacomo e Croce e  scene della vita di D’Annunzio, girate in bianco e nero e senza sonoro per enfatizzare l’aspetto dionisiaco del mondo del sommo vate. All’apertura del sipario, il pubblico viene subito “proiettato” nello schermo e, come assiso al cinema, assiste ai video delle perizie di parte, con Marino Niola (Benedetto Croce) per la difesa, e Enzo Moscato (Salvatore Di Giacomo) per la parte civile. Al termine gli spettatori vengono catapultati nella felice “confusione” delle prove della parodia, dove un arguto Gianfelice Imparato (Scarpetta) recita le sue prime battute dalla platea, orchestrando sapientemente questa “ammuina” (confusione) tipica del teatro napoletano. Le prove vengono interrotte da un esuberante Giovanni Esposito (Vincenzino Scarpetta/Turillo) che con un’elegante ironia travolge il pubblico in un vortice di risate. Dalla colorata allegria del teatro si cade nel muto e grigio mondo cinematografico, abitato da Andrea Renzi (Marco Praga), e Peppe Servillo (D’Annunzio), intenti a discutere della decisione della Prefettura di dare il nullaosta alla parodia. Lo spettacolo continua tra reale e proiettato, con il comico che apre il cuore al giudice: «agg pers ‘o suonn e ‘a fantasia (ho perso il sonno e la fantasia), ‘o suonn si, l’ho letta tante volte, ‘a fantasia no, anzi….»; il vate che rivendica la sacralità del figliola dà il consenso per la parodia; Luciano Saltarelli che vestendo i panni sui generis del Prof. Enrico Cocchia viene interpellato per relazionare sulle opere e, senza mezzi termini, afferma la supremazia della melodia di D’Annunzio in lotta con i rumori da vicolo di Scarpetta; una parodia poco riuscita, non all’altezza della sacralità dell’opera di D’Annunzio.           Il Patos cresce, si cade nell’intensa simulazione della sera della prima, e il pubblico all’unisono si immerge, vive e sente sua quell’attesa notte ed ascolta gli schiamazzi di un altro pubblico, che a denuncia del comico, era una claque avversa, pagata, incitata per rovinare la prima. Le scroscianti risa del pubblico attuale, alla battuta conclusiva della parodia: “La fava è bella, la fava è bella”, basterebbe per capire che Scarpetta avrebbe vinto la sentenza, non trattandosi di un usurpazione, ma di pura e semplice parodia… Intanto, in aula, il climax si fa cupo; un fascio di luce cade, a turno, sui quattro avvocati, seguendo il ritmo di una musica ansiosa e, per oltre venti minuti, si espongono piccole arringhe. Si riflette sull’essenza dell’ironia, della parodia, fino a arrivare all’arringa conclusiva di Scarpetta, dove il patos giunge a livelli magici; si ritrova solo e smarrito, isolato dal mondo al centro del palco, come unico amico solidale, un fascio di luce che lo accarezza mentre spiega la sua vita… il suo cappello scivola giù dal capo, volta le spalle e va via, mentre, nel vuoto silenzio, una voce ci informa che anche se la sentenza è positiva, il teatro, da lì a poco, avrebbe perso una grande personalità. Scarpetta, ferito interiormente, decide di ritirarsi dalle scene.

Adalgisa Cornelio

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