Sudafrica, sulle tracce dell’Apartheid

L’estrema punta del continente nero è un grande melting pot di ambienti naturali e razze umane. Dopo la fine formale dell’apartheid, il Sudafrica è, a detta di tutti, la nazione del continente rivolta al futuro. È anche però un Paese ricco di contraddizioni, dove il passato ha lasciato segni profondi nella società ed il presente è tutt’altro che al sicuro. (Foto: © Daniele Pistoni)


Cape Town

Cape Town, la città madre, è un luogo immerso nell’abbagliante luce del sole. Il cuore della città, chiamato City Bowl, è racchiuso in una conca naturale protetta dalla maestosità della Table Mountain a nord-est e dal mare a sud-ovest. Pur avendo un elevato tasso di criminalità, rimane la città più vivibile della nazione, ospita la seconda comunità gay al mondo dopo San Francisco e l’apparenza di integrazione tra bianchi, neri e coloured è più omogenea che nel resto delle provincie del capo, forse perché fu qui che iniziò la liberazione inglese dal razzismo boero e forse perché dalla sua nascita fu sempre luogo di transito e passaggio di navi da tutto il globo. È da qui che inizia il mio viaggio in Sudafrica. Lasciando Cape Town si attraversano le immense baraccopoli dei Cape Flats, “case” di pochi metri quadrati costruite con lamiera e materiali di recupero, ammassate le une sulle altre senza le più elementari norme igieniche e logiche, e arroventate dal sole implacabile.

Township nel Karoo meridionale

Seguendo la costa verso est incontro i primi resti delle antiche ed immense foreste pluviali che trovarono i coloni al loro arrivo, e delle quali ormai non resta più nulla se non nei pavimenti in Iroko delle nostre case. Fattorie, campi coltivati e vigne si alternano a zone aride e selvagge fino a Cape Aghulas, il punto estremo del continente. La sottile striscia di terra verso l’interno è caratterizzata da un paesaggio collinare e dall’oro dei campi di grano appena mietuti. Ad un centinaio di chilometri dalla costa la prima barriera di montagne ci innalza sul primo scalino del Platou continentale, qui inizia il Little Karoo, una regione prettamente agricola, dove si rifugiarono i primi coloni afrikaner in fuga dalle cannonate britanniche. Il paesaggio semi-arido è interrotto di tanto in tanto da cittadine di piccole dimensioni lontane anche qualche centinaio di chilometri le une dalle altre, che ricordano il profondo sud degli Stati Uniti e che si assomigliano incredibilmente fra loro.

Pascoli nel Klein Karoo

I centri cittadini fatti di case coloniche basse disseminate principalmente lungo la strada principale, ornate da bellissime piante di Jacaranda nel pieno della fioritura ed abitate dai bianchi, contrastano con le baraccopoli dei braccianti di colore, colorate, polverose e posizionate a qualche chilometro dal “centro”.  Tutto il Karoo, che caratterizza anche la maggioranza del territorio del Paese, mi mostra che esiste ancora una profonda divisione tra bianchi e neri. I ristoranti, i negozi principali, le stesse cittadine sembrano fatte per la piccola minoranza bianca e l’impressione è che i neri vivano ancora ai margini di una società e di un‘economia che per ovvie ragioni poggia le sue basi sul passato colonialista. Spostandosi verso nord, nel Great Karoo, sul grande altopiano sterminato, polveroso e dagli immensi cieli azzurri senza fine, il distacco è ancora più evidente. A Kimberley, dove la corsa ai diamanti ha fatto nascere la prima Township del Sudafrica ed il più grande buco mai scavato con la sola forza delle braccia dall’uomo, il Big Hole, appare più che evidente che la società bianca e quella di colore sono nettamente distanti tra loro.

Un bambino nella Township di Galeshewe

Il centro cittadino si spopola al termine dell’orario lavorativo e, al contrario, la Township di Galeshewe in periferia si anima: i negozi aprono, i bar abusivi che vendono alcolici senza licenza si riempiono e le strade brulicano di persone. La differenza la fa però la mentalità, SUV nuovi di zecca sfrecciano tra case fatiscenti o in rovina, e la gente si ritrova per le strade a bere alcolici e a fare festa. La guida che mi accompagna mi dice che non c’è lavoro ma la gente quando ha qualche soldo lo spende per bere, e chi ha un lavoro ed i soldi invece di avere case più dignitose compra auto di grossa cilindrata. Quello che più mi lascia perplesso però è la sicurezza con cui le persone di colore si aspettano che i miglioramenti alle loro abitazioni, la possibilità di trovare lavoro e la responsabilità del loro futuro siano tutti atti dovuti del governo e che nulla ricada sulle loro spalle. Con queste tristi premesse, sotto ai colori di un infuocato tramonto africano, lascio la popolazione di Galeshewe riversa nelle strade che, come di abitudine nel week-end, si stordisce con alcool e musica. Mi ritrovo con il buio della sera in pub del centro, ora deserto, dove sembra che una buona rappresentanza della minoranza bianca passi il tempo in modo simile. Il Sudafrica è un grande Paese ricco di risorse naturali, ma credo che per il suo futuro queste due parti della società ancora molto distanti tra loro dovranno trovare il modo di avvicinarsi anche nelle virtù oltre che nei vizi.

Daniele Pistoni

Click Here to Leave a Comment Below