Strage di bambini in Siria
Il primo sentimento che affiora alla notizia della strage di bambini in Siria di ieri è di rassegnazione. Sembra potente e disarmante l’odio e la totale indifferenza dell’essere umano verso l’altro essere umano. Ma l’istante successivo, messo in gioco il meccanismo della ragione, la sofferenza e la compassione per chi non c’è più, massacrato dalla cecità della razza umana, trova logico sbocco, si trasforma, diviene voglia di cambiamento, di riscossa. Ma non violenta, altrimenti staremmo facendo appello agli stessi ignobili principi che muovono chi ha provocato la strage dei bambini in Siria, materialmente e logisticamente.
Niente violenza, niente aggressività, niente odio o voglia di vendetta. Il cambiamento parte dalla nostra scelta di amare tutto e tutti. Come potremmo cercare di diffondere un cambiamento se siamo i primi a non seguirlo, ripetendo l’arido cliché della vendetta in nome della giustizia?
Il nostro impegno deve essere costante, quotidiano. Ogni giorni dobbiamo dedicarci a non odiare, non offendere, non minacciare, non accusare. E non dobbiamo pensare che il nostro comportamento non c’entri con la strage dei bambini in Siria. Quella strage è avvenuta perché è mancata l’educazione all’amore e al rispetto, alla sacralità della vita umana.
Basterebbe guardare le cose e le persone con occhi diversi, iniziare a provare a scorgere il misterioso meccanismo che rende tutto possibile, che fa sì che le cose esistano e le persone respirino. Tutto parte da piccole cose.
Non invochiamo la vendetta, non odiamo chi ha causato quella strage – così come il tragico episodio di Brindisi o l’attentato in Norvegia –, non faremmo che fare un gioco sporco che ci condurrà, ancora una volta, a leggere notizie del genere sui giornali.
Marco Papasidero