
Il ruolo dell’intellettuale contemporaneo
Il ruolo dell’intellettuale negli ultimi decenni è divenuto sempre più marginale, a causa di una serie di ragioni storiche, politiche, sociali. Tuttavia oggi la sua presenza e la sua guida critica si rivelano sempre più necessarie. (Foto: Flickr cc truthout)
«Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero». Diceva così Pier Paolo Pasolini negli anni ’70.
Ma chi è oggi l’intellettuale? Qual è il ruolo dell’intellettuale nella società e nella politica moderne? Rispondere a queste domande tenendo conto degli ultimi decenni di storia risulta difficile. L’intellettuale può essere definito come un uomo di cultura, una personalità che ha a che fare col pensiero astratto, con valori alti e profondi, con storie e parole che scandagliano le più intime profondità delle emozioni umane, della psiche, dei sentimenti; ma anche della società e della politica passata e presente.
Eppure negli ultimi anni la voce della coscienza critica degli intellettuali è sembrata offuscarsi quasi fino a scomparire. Gli uomini di cultura sembrano essersi rintanati sempre di più nella loro “torre d’avorio” per lasciare il posto a veline, presentatori televisivi, politici di dubbio spessore e moralità. Perché oggi più che mai l’opinione pubblica e la coscienza collettiva si formano attraverso i mass media, televisione ed internet in primo luogo, e raramente capita di vedere un intellettuale che si esponga o esponga le sue idee tramite questi mezzi.
L’intellettuale di oggi è costretto a rispondere alle leggi del mercato, a diventare un “professionista della cultura”, sembra non potere più sfuggire alle regole obbligatorie del guadagno e della vendita. A riguardo Giuseppe Patella, professore all’università di Roma Tor Vergata, ha sostenuto che l’intellettuale è passato dall’avere un ruolo di legislatore ad averne uno di interprete: «Se l’intellettuale legislatore era colui che in nome di principi universali sindacava autorevolmente tra opinioni diverse ed era in grado di avere un impatto diretto sulla formazione dell’opinione pubblica, l’intellettuale postmoderno in qualità di interprete si preoccupa solo di agevolare la comunicazione e di vendere al meglio le proprie risorse sul mercato della comunicazione».
Eppure, recentissimi avvenimenti stanno aprendo uno spiraglio di positività e cambiamento riguardo al ruolo dell’intellettuale nella società e nella politica. L’esempio forse più forte arriva dall’anti-democratica Russia, da Mosca in particolare, dove nei giorni scorsi un gruppo di letterati ha dato vita alla “Passeggiata degli scrittori”, una manifestazione contro il regime di Putin, che ha coinvolto diecimila persone, riunite in nome della protesta pacifica contro i soprusi del governo e in nome della democrazia.
In Italia, la recente trasmissione di Fazio e Saviano, Quello che (non) ho, ha finalmente dato spazio alla voce di scrittori italiani di primo piano come Ermanno Rea, Paolo Giordano, Valerio Magrelli, tra gli altri, che hanno parlato di sogni, ricordi, speranze, ma anche di progetti, di presente e di futuro. Lo stesso Saviano, d’altra parte, riveste il ruolo di intellettuale impegnato che ha sacrificato in parte la sua vita a favore della testimonianza e della verità.
La società e la politica moderne hanno assoluto bisogno degli intellettuali, della loro riflessione, della loro guida e della loro critica. L’auspicio è che anche loro ritrovino la voglia e l’entusiasmo per mettersi in gioco, per diventare membri trainanti di una società alla deriva, ma recuperabile. Ai loro canali di comunicazione “tradizionali”, la carta stampata, il cinema, il teatro, potrebbero affiancare la potenza dei blog e dei social network, la capillarità della televisione, ma anche l’efficacia e la forza delle piazze, delle strade, dell’incontro diretto con la gente. E anche, e forse soprattutto, potrebbero impadronirsi di nuovo dello strumento di cambiamento più valido di sempre: la politica.
Quello che gli si chiede non è di svendersi, di svilirsi, di sacrificarsi, ma di ridivenire traino per una riflessione critica e per una trasformazione della società all’insegna della cultura e dei valori positivi.
Silvana Calcagno