Storiche città giordane: Gadara, Gerasa, Madaba
Respirare le atmosfere di città bibliche e romane ai confini orientali dell’antico Impero romano, nelle terre che sfidano l’aridità del deserto. (Foto: © Francesca Desiderio)
- Gadara, vista sul lago di Tiberiade. Alle spalle, Israele.
Tra le coste mediterranee e i deserti del Medio Oriente, in terre quasi prosciugate dall’arsura, la storia della religione cristiana si fonde con la storia dell’Impero romano. La sacralità delle terre al confine tra Giordania, Siria e Israele si respira nel silenzio di antiche città abbandonate, nei resti di colonne frantumate, nei panorami appena velati dall’afa di un deserto pressante, e induce a solcare quelle terre con rispetto.
A un centinaio di chilometri a nord di Amman, su colline di ulivi e sabbia, sotto un sole accecante e una calura da canto di cicala, c’è Umm Quais, ovvero Gadara, l’antica città facente parte del distretto romano della Palestina (tra la Siria meridionale e la Giordania settentrionale). Gadara è il nome biblico della fiorente città di cui oggi restano abbondanti tracce di colonnati, gradoni e strade lastricate. Dall’alto della collina su cui giace, lo sguardo abbraccia per primo il panorama sulla valle del fiume Giordano: in lontananza, a est, il lago di Tiberiade, lo stesso Mar di Galilea dove Gesù predicò, al confine con Israele; a nord, le alture del Golan, la Siria. Facili confini geografici oggi invalicabili, se non con i dovuti permessi.
Gadara, Foro romano
Colline e altopiani di verde scarso, un tempo scenari di scambi commerciali e culturali che portarono allo splendore Gadara e altre città oggi poco più che polvere. Sotto questa luce accecante, la valle, le alture e il lago sorridono e appaiono pacifici. Rilievi collinosi di ulivi e pini mi restituiscono i profumi delle terre mediterranee. Cerco di ricostruire le glorie di questa città fiorente nel II secolo d.C. e ne colgo solo il Foro e l’antico Teatro. Più avanti il Ninfeo e le Terme, con i loro mosaici e quel che resta di altre colonne e statue.
La città giace seppellita sotto il peso di un passato tanto grande quanto devastante, che la oscurò sin dall’epoca bizantina. Ne restano scavi archeologici tuttora aperti.
Gerasa, Cardo Maximus
Più a sud, a metà strada tra Gadara e Amman, sorge in tutto il suo splendore antico Gerasa, l’odierna Jerash. Gerasa la romana potrebbe non sorprendere un turista italiano, avvezzo alle architetture urbane dell’antico Impero. Ma sulla via che unisce Amman e Damasco scopro una vera e propria Pompei d’Oriente, come è anche chiamata Gerasa: scenografici e ben conservati sono il monumentale arco di Adriano all’ingresso della città, il Foro dalla forma ovale delineato da un colonnato quasi integro, il Teatro Grande, la demarcazione netta del piano urbano prodotta da cardo (Cardo Maximus) e decumano, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano con un meraviglioso pavimento mosaicato, il Ninfeo e il Tempio di Artemide dalle colonne antisismiche.
Qui non si respira tensione, la zona trasmette la serenità del benessere imperale. Non si scorge alcun confine incerto all’orizzonte, solo la città moderna.
Nel 129 d.C. soggiornò a Gerasa l’imperatore Adriano. Ripercorro le memorie del grande Cesare che rese splendida questa città. Il Foro ovale è circondato da 56 colonne… è uno spazio adeguatamente ampio per ospitare magnificenza e regalità. Si scoprono segni di vita quotidiana e della vitalità della cittadina anche lungo gli 800 metri del Cardo Maximus, nei solchi lasciati dai carri sulla pavimentazione a lastroni. Importante è anche la celebrazione del culto, riconoscibile nell’imponenza del Tempio di Artemide, con la sua larga scalinata, e nei resti di tredici chiese, tra cui quella dei Santi Cosma e Damiano (del VI secolo d.C.), con i suoi pavimenti rivestiti di mosaici.
Gerasa, ai piedi del Tempio di Artemide
Dopo il passaggio dell’illustre ospite, ebbe inizio il rapido declino urbano di queste terre accecanti; dopo l’epoca persiana ci pensarono le sabbie del deserto a preservarne le ricchezze. Fu un tedesco a riscoprirla, nel 1806, e quel che si vede oggi è stato portato alla luce solo dopo il 1920.
Ripercorro la storia e mi sposto al VI secolo d.C., a sud di Amman, direzione Mar Morto.
Respiro atmosfere bibliche, rimaste distanti dallo sviluppo dei tempi, nella chiesa greco-ortodossa di San Giorgio a Madaba, dove i luoghi santi, dalla Palestina alla Mesopotamia, dall’Egitto a Gerico, sono stati riprodotti in un mosaico topografico che rivestiva l’intera pavimentazione della chiesa. Era la rigogliosa età di Bisanzio.
Strada centrale di Madaba
Da quel che resta delle migliaia di tessere multicolore si evince che quello che oggi è deserto era allora un territorio rigoglioso di vita animale e vegetale; le gazzelle e i leoni riprodotti testimoniano il costume della caccia e giustificano l’esistenza dei cosiddetti “castelli nel deserto”, edifici come fortezze erette a est di Amman, concepiti per la caccia e il riposo.
Città dei mosaici, la Medeba della Bibbia, capitale dei Moabiti in lotta contro il popolo d’Israele secoli prima di Cristo, dall’VIII al XIX secolo fu abbandonata, per declino politico e devastazione sismica, e oggi è risorta secondo lo stile mediorientale moderno. Sviluppatasi come città dei commerci sotto Roma, oggi è tornata a esaltare quella sua originaria anima commerciale, lungo le strade costeggiate di negozi e animate da traffico, da passanti come nelle giornate di festa, da urla unite a clacson di auto. Striscioni pubblicitari e insegne, vetrine riempite di oggetti per turisti o di gusto islamico. Non c’è riposo. Forse così era secoli fa.
Francesca Desiderio