
Sequestro Vajont.info: il web e le incursioni della giustizia
Il sequestro preventivo del sito Vajont.info, decretato per la presunta diffamazione di due onorevoli, non ha destato scalpore. Nonostante l’annullamento del Tribunale del riesame, preoccupa la facilità con cui è stato possibile un provvedimento che ha oscurato circa tremila siti estranei alla vicenda. (Foto: Flickr cc freshconservative)
Immaginate cosa accadrebbe se un giudice facesse chiudere Repubblica o Il Giornale per una presunta diffamazione. Levate di scudi, più che giustificate, sulla libertà di espressione e di parola si scatenerebbero sui giornali, sulle televisioni, nelle piazze. Assisteremmo probabilmente ad un’autentica rivolta in nome della libertà di stampa. E se la stessa cosa accade sul web, magari ai danni di un sito non proprio popolare?
Nel mese di febbraio, con una decisione passata sotto silenzio, il GIP di Belluno ha posto sotto sequestro il sito Vajont.info a causa di una presunta diffamazione nei confronti di due onorevoli (Maurizio Paniz e Domenico Scilipoti), ritenendo insufficiente la cancellazione delle frasi ritenute offensive da parte dell’autore del sito, Tiziano Del Farra.
Pur considerando il linguaggio eccessivo e a tratti offensivo dell’autore, un simile provvedimento pareva di per sé già estremamente pesante. E a renderlo ancora più aspro è stata la metodologia scelta dal Pubblico Ministero, a cui il GIP aveva delegato la definizione delle tecniche da applicare per il sequestro. Il PM aveva infatti disposto un blocco a livello di indirizzo IP, misura che ha comportato – causa il fenomeno ormai comune in base al quale più siti internet vengono pubblicati sullo stesso IP – l’oscuramento di altri tremila siti che nulla avevano a che vedere con la vicenda oggetto di indagine.
Pur in un panorama di desolante silenzio da parte dei principali media nazionali, la decisione del giudice aveva scatenato l’ira di Anonymous. L’ormai famoso gruppo di hacker internazionali ha reagito con un’azione di defacing ai danni della pagina personale del Deputato Paniz – inserendo nella homepage l’ormai nota immagine simbolo del movimento –, reo di aver intentato causa contro Vajont.info.
Il provvedimento è stato recentemente annullato dal Tribunale del riesame di Belluno che ha accolto le istanze di oltre 200 Internet Service Providers che si erano opposti alla decisione del giudice ritenendola spropositata, sia nelle modalità che nella sostanza. Se infatti fosse sufficiente l’ipotesi di un reato di diffamazione per predisporre il sequestro di un intero sito web, la libertà di espressione su Internet avrebbe di certo vita breve. A rimanere sotto sequestro è ora la sola frase ritenuta ingiuriosa. Indubbiamente una bella differenza.
Nonostante quello che si potrebbe definire un lieto fine, resta preoccupante la leggerezza con cui il GIP ha ordinato una misura di tale portata che, come confermato anche dalle motivazioni della sentenza di annullamento del provvedimento, viola palesemente i principi di libertà di espressione sanciti dalla nostra Costituzione. Parrebbe quasi che in alcuni casi la giustizia italiana consideri la rete come una terra di nessuno, un luogo virtuale in cui le decisioni possono essere prese con una superficialità e una noncuranza impossibili nel “mondo reale”. Ma l’ordine di oscurare totalmente un sito, questo deve essere chiaro, equivale a quello di chiudere un giornale, sigillarne redazione e stabilimenti e cancellare il suo nome dal panorama dei media. Un atto inaccettabile, un ritorno ad un sistema di censura ottusa che viene invece talvolta recepito come ammissibile se a subirlo è un sito web.
A prescindere dalla valutazione negativa che si potrebbe dare sullo stile del sito, il blocco di Vajont.info rappresenta un precedente allarmante. Con la progressiva digitalizzazione e smaterializzazione dei contenuti, presto tutte le testate giornalistiche, le pubblicazioni di ogni genere e qualsiasi altra forma di media tradizionale saranno esclusivamente online. Dobbiamo iniziare a preoccuparci?
Alessandro Turco