Ritorno alle origini
Il viaggio a ritroso di un intellettuale romano, alla scoperta di sé e della propria matrice culturale. Una vicenda personale vissuta tra Roma e la Grecia, sospesa tra presente e passato, tra mondo moderno e classicità. Il racconto di un uomo di teatro, che, alla ricerca di un’ispirazione, ritrova il copione della sua vita.
Paolo Perelli, L’odore del mastice, Kimerik 2008«Mi osservo come da una feritoia della coscienza», medita a un certo punto il protagonista di “L’odore del mastice”. Una metafora in cui è possibile rintracciare il filo conduttore di questo ‘romanzo mediterraneo’ (come recita il sottotitolo), vale a dire: la ricerca della propria identità. Inconscia, sottotraccia per gran parte del racconto, prorompente nel finale. Lo spiraglio attraverso cui guardarsi dentro è offerto a Gregorio – questo il nome del nostro personaggio in cerca di se stesso –, romano, autore di testi teatrali un po’ démodé, da Kyriàkos, anziano greco trapiantato a Roma, incontrato per caso in un momento di crisi professionale, quando, dopo un iniziale successo, i suoi lavori non incontrano più i favori del pubblico e della critica e il suo impresario gli volta le spalle. Inseguendo una nuova ispirazione che gli consenta di uscire dall’impasse e rientrare nei circuiti teatrali, sorretto dall’amica scenografa Cristina, Gregorio è colpito dalla vitalità dell’anziano Kyriàkos, che dapprima lo coinvolge in un ballo tradizionale all’inaugurazione di un locale greco a Roma, complice Cristina, e successivamente lo convince a fargli da guida per il suo ritorno nella terra natale. Là, su un’isola assolata dell’Egeo, tra il fortissimo odore di mastice dei lentischi, la vicenda avrà il suo sorprendente epilogo.
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La trama del romanzo di Perelli non è di quelle che avvincono il lettore e lo tengono incollato alle pagine dopo le prime righe. Il racconto si dipana tra le pieghe di una quotidianità piuttosto banale, in cui non sembra succedere niente. Alla ricerca di nuove opportunità di lavoro, vanificata da personaggi cinici o penosi, fanno da contrappunto le serate al locale greco, in una sorta di ‘montaggio alternato’, per usare un termine cinematografico, che tuttavia non contribuisce più di tanto ad alzare il ritmo. La storia si anima e prende quota nella seconda parte, quando il protagonista e l’anziano si trasferiscono in Grecia. Qui, a stimolare la curiosità del lettore intervengono i continui spostamenti ‘misteriosi’ di Kyriàkos, che mettono in apprensione il compagno di viaggio, e creano un’aspettativa nuova, accresciuta dall’improvviso e temporaneo rientro a Roma di Gregorio. Ma è l’inatteso epilogo che compensa largamente il grigiore dell’incipit, un vero colpo d’ala capace di mettere sotto un’altra luce l’intero romanzo. Del quale, accanto all’uso frequente di metafore – «piccole porzioni di vita dagli scaffali dell’esistenza», «bozzolo tessuto dal flusso di parole» – e agli stacchi netti (anche questi ‘cinematografici’) tra una scena e l’altra,rimangono impresse frasi che sembrano vere e proprie icone. Come questa: «C’è una morte quotidiana che è l’irreversibilità del tempo, eppure senza di essa non esisterebbe la vita».
Giudici Giulia