.|Punti di vista|.
Tommaso, ogni giorno, trascorreva i suoi pomeriggi dentro la sua stanza da letto, il suo piccolo grande mondo, delle volte troppo stretto, delle altre così grande da temere di perdersi dentro. Era in fondo al corridoio, né a destra, né a sinistra. La porta stava al centro.
Tornando dall’Università – da quelle non sempre intriganti lezioni di filologia o di letteratura italiana – il pranzo era rapido, frugale. Ma terminava sempre con un dolce, solitamente due biscotti con lo zucchero a velo sopra e la marmellata di albicocche o di ciliege. Dopo qualche chiacchiera con l’amata sorella Adina, la partenza per il suo cantuccio nascosto era d’obbligo. Chiudeva la porta dietro di sé, dimenticando tutto e tutti, assaporando il silenzioso suono della solitudine, in ascolto dei pensieri che gli ticchettavano leggeri nella testa.
Tommaso era sveglio, molto sveglio e non amava perdere tempo. Studiava attentamente e a lungo, scriveva e navigava tra blog e magazine online, leggeva saggi e classici della letteratura – del Novecento, ma anche del Trecento o del Quattrocento –, gustava con piacere il fresco verdeggiare degli aceri immobili fuori dalla sua finestra.
I pomeriggi erano uguali gli uni agli altri, scanditi da un ritmo monocorde. Tommaso era felice di tutto quello, ma sognava altro per sé. Un giorno avrebbe viaggiato per il mondo, con un buon lavoro appassionante – magari il filologo – e con quel poco di denaro sufficiente a permettersi di tenere in piedi il suo sogno.
Un pomeriggio, sonnecchiando sulla sedia, con il mento adagiato goffamente sopra la mano, interrogava il motore di ricerca, per aggiornarsi. Poi passò al sito della sua università, per verificare che non ci fossero state modifiche nel calendario degli esami. Il professore di Storia contemporanea – mai notizia più ferale! – aveva rinviato di due settimane l’esame. Ancora per quindici giorni quell’ansia!
Tommaso si dispiacque, ma decise di non pensarci troppo. Con una mano abbassò lo schermo del pc portatile, quasi come se custodisse un segreto inconoscibile, e poi iniziò a confondersi le idee adagiando con delicatezza il suo sguardo fuori dalla finestra. Una finestra alta e robusta, di legno vecchio pitturato di beige. Prima un albero che faceva ondeggiare lentamente le sue foglie al vento. Poi il muricciolo, sopra il quale, ogni tanto, intravedeva passare, schiamazzando, bambini impegnati nei loro giochi. Quindi la casetta sempre chiusa, quella con le imposte che sembravano cadenti. Infine la lunga schiera di palazzine che facevano da eco al centro città, non lontano da lì.
Conosceva a memoria quel susseguirsi sempre uguale di protagonisti inerti. Sapeva, occhio e croce, quale distanza separava uno dall’altro, e quale colore assumevano al tramonto o a mezzogiorno. Conosceva bene lo scricchiolare delle imposte sotto le raffiche del vento e aveva scoperto, poco tempo prima, il viso dell’anziana signora che abitava la vecchia casa, nell’unica volta in cui aveva aperto le imposte.
Ma Tommaso non si era mai accorto dell’inquilino che abitava a una ventina di metri da casa sua, il cui balcone, al terzo o quarto piano di una delle palazzine, era perfettamente visibile dalla sua finestra. Vedere il suo sguardo fisso, puntato e inquisitorio su di lui che scrutava ingenuamente dal vetro, non fu piacevole.
Il cuore ribollì improvvisamente, impacciato. Gli occhi strabuzzarono. Non ci volle che un istante per balzare dalla sedia e fare la prima cosa che gli venne in mente. Chiudere l’anta destra e rifugiarsi.
«Chissà quante volte sarà stato lì a osservarmi!» si ripeteva incessantemente, turbato.
Passarono alcuni secondi, forse un minuto. Tommaso spense la luce, e si affacciò con estrema cautela dall’anta, per verificare se l’inquilino fosse ancora presente. Non c’era nessuno. Il balcone era vuoto. La porta-finestra, aperta, era flessuosamente accarezzata dalla tenda, che svolazzava rapida e fuori controllo.
Timore di essere osservato. Timore di essere giudicato. Timore.
In una piccola stanza, un tavolo con tante carte, dei documenti con sopra bolli e timbri. Sembrava uno studio improvvisato nel salotto di casa. Un uomo, sulla cinquantina, con una prominente pancia, ciondolava per la casa con sguardo vispo. Al tavolo, allontanò la sedia di mezzo metro, per riuscire a sedersi su comodo. Il leggero scricchiolio non lo allarmò affatto. Dopo qualche minuto, si alzò di scatto, rovesciando inavvertitamente la sedia sul pavimento, e bofonchiando qualche imprecazione. Si diresse verso la parete, premette l’interruttore della luce e illuminò la stanza. Tornato al tavolo, prima di sedersi, rimise in piedi la sedia e si avvicinò alla finestra, per accostare le due ante e porre fine allo svolazzamento della tenda. Prima di chiudere, uno sguardo dal suo quarto piano. Nella finestra della palazzina di fronte, al secondo piano, quella del giovane studente universitario, non c’era più nessuno.