Bosnia ed Erzegovina: confine tra Oriente ed Occidente. Una divagazione sui ponti di Mostar, Sarajevo e Višegrad

La terra di Bosnia ed Erzegovina è costellata di monti e fiumi ma soprattutto profonde gole che, per essere oltrepassate, hanno bisogno di ponti come quello di Mostar, come il Ponte Latino o il Ponte Mehmed Paša Sokolović di Višegrad, collegamenti che superano i confini della natura per far avvicinare gli uomini. (Foto: © Igor Bortoluzzi; Foto 1:  http://www.unlikelytraveler.com/)

Il ponte Mehmed Paša Sokolović, a Višegrad, di cui si narra in un famoso romanzo di Ivo Andrić.

«Quando gli angeli si accorsero che gli sventurati uomini non potevano superare i burroni e gli abissi per svolgere le loro attività, e si tormentavano, si guardavano e si chiamavano invano vicendevolmente da una sponda all’altra, al di sopra di quei punti spiegarono le loro ali e la gente cominciò a passare su di esse.

Il ponte di Mostar, o Stari Most, sulla verde Neretva, ricostruito dopo che le granate del 9 novembre 1993 lo fecero saltare in aria.

Per questo, dopo la fontana, la più grande buona azione è costruire un ponte», così scrive Ivo Andrić nel suo romanzo più famoso, Il ponte sulla Drina. Non può aver ragioni migliori lo scrittore Premio Nobel per la letteratura. Il ponte di cui parla nel suo libro è quello di Višegrad, costruito nel XVI secolo su volere del gran visir Mehmed Paša Sokolović. Teatro di numerose leggende, su tutte quella secondo cui uno dei guardiani ci finì murato e ancora oggi se ne odono i lamenti nelle notti di vento, il ponte fu un’opera grandiosa per collegare le due sponde della Drina, fino ad allora solcate da un precario battello. Durante vari scontri di religione si trovò calpestato da Turchi, Serbi, Bosniaci, Austriaci, Ungheresi. Venne gravemente danneggiato durante le due Guerre Mondiali e fece da tragico scenario al massacro di Višegrad durante la guerra che portò alla dissoluzione della Jugoslavia. Da allora fu sempre ricostruito con caparbietà, dal 2007 è Patrimonio dell’Unesco ed è sempre il gran vanto degli abitanti che ancora si ritrovano a chiacchierare “alla porta”, il punto più largo del ponte, oggi come allora fondamentale snodo tra Oriente ed Occidente.

Una veduta notturna del ponte di Mostar, voluto da Solimano il Magnifico e ricostruito dopo la guerra in Bosnia ed Erzegovina con un misto di strutture moderne e tecniche medievali.

Il Ponte Latino di Sarajevo venne edificato in epoca ottomana e più volte ricostruito a causa del normale degrado del legno e, quando fu riproposto su solide fondamenta di pietra, a causa delle alluvioni. I lavori furono finanziati da un facoltoso pellettiere di origini turche nel XVI secolo per poter scavalcare la Miljacka, il fiume che corre lungo tutta la città. Nel secolo scorso fece da palcoscenico ad uno dei momenti più importanti della storia: l’assassinio dell’erede al trono di Austria-Ungheria da parte di uno studente, Gavrilo Princip (a cui durante l’era titina fu intitolato il ponte), episodio che fece da detonatore alla Grande Guerra. Il Ponte Latino fece inoltre da via di fuga durante l’interminabile assedio degli anni Novanta, per coloro che correvano lungo la tristemente nota Via dei Cecchini. In quella zona della città si respira ancora oggi un’aria inquieta, come se quel composto di pietre e gesso da cui è costituito il ponte avesse incamerato tutta la sua tragica storia e ne rilasciasse poco per volta qualche esalazione, qualche piccola particella.

Il ponte Latino, a Sarajevo, chiamato anche ponte Gavrilo Princip, lo studente che nel 1914 vi assassinò l’erede al trono dell’Impero d’Austria ed Ungheria.

Lo Stari Most, o più comunemente Ponte di Mostar, è uno dei simboli più conosciuti dei Balcani, il suo spettacolare arco si staglia tra le 2 torri Mostari (custodi del ponte) sulla valle della Neretva ad un’altezza che ne esalta la curvatura esasperata. Dall’alto dei sui 25 metri, d’estate si tuffano alcuni temerari ragazzi per conquistare le donzelle, come dicono, o più semplicemente per racimolare qualche moneta. I colori della cittadella giocano sui toni della pietra e del legno, dell’acqua e del sudore, sublimando il tutto in un’opera di una bellezza struggente. La costruzione voluta dal Sultano Solimano il Magnifico nel 1557 venne conclusa in nove anni, collegando così le impervie sponde della fredda Neretva. Mostar era crocevia e unione dei mondi orientale e occidentale. Lo fu fino al 9 novembre 1993, quando, durante la guerra che portò alla dissoluzione del sogno jugoslavo, colpi di artiglieria croata fecero saltare il ponte, già ampiamente danneggiato dalle granate serbe. Il Ponte, fino ad allora simbolo universale di apertura, giaceva in pezzi sul fondo della Neretva, dove forse il frastuono della Guerra si sente un po’ meno. Nel 2004 è stato inaugurato il Nuovo Vecchio Ponte di Mostar, patrimonio dell’Unesco, ricostruito con un misto di tecniche medievali e moderne.
Come è una buona azione costruire un ponte lo è il raccogliere i pezzi e ricostruirlo, o forse lo è di più, perché così possiamo camminare sulle ali di un angelo che prima giaceva esangue sul letto del fiume.

                                               Igor Bortoluzzi

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