“Page one” e la fine della carta stampata
“Page one”, il nuovo reportage di Andrew Rossi, presentato al Festival Internazionale di Ferrara, racconta un anno di riprese all’interno della redazione del New York Time. Cambia il sistema dell’informazione, Internet supera la carta stampata e i vecchi giornali chiudono per bancarotta. Affanni e reazioni.
I giornalisti del prestigioso quotidiano NYT, David Carr, Brian Stelter e Tim Arango, assistono alla trasformazione del loro mestiere, mentre il proprio giornale lotta per restare a galla soffrendo le sfide poste dall’industria dei social network e dei tablet. Dibattiti e questioni sulla crisi, parassitismi, rivalità, interferenze stampa-politica-democrazia. Quale destino dello scontro web e carta stampata?
Nasce tutto, forse, dal fallimento della notizia “autorevole” della lobby giornalistica, padrona, manipolatrice, avvezza al potere. La perdita della credibilità ed attrattiva dei giornali fa strada a Internet, dove il coinvolgimento delle opinioni soddisfa l’insieme dei bisogni
Page one è un profilo di ciò che sta accadendo, uno sbirciare dietro le quinte dei media reso attuale e affascinante per le vicende discusse di eventi conosciuti come Julian Assange e le controversie su Wikileaks; l’audace denuncia del gruppo Tribune, ora in bancarotta, da parte di Davide Carr, resa avvincente anche dalla sua personale storia di riabilitazione dalla dipendenza da cocaina o dalla contrapposizione con il giornale online The Huffington Post.
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Si riflette sull’effetto Time, di come false notizie o disastri giornalistici pubblicati sul NYT abbiano poi un seguito a cascata filtrando giù attraverso altri canali amplificandosi; se il Time sbaglia, poi altri ancora. Ma se il Time non esistesse? Che cosa scriverà più l’impavido blogger quando gli uffici esteri della “terra ferma” saranno smantellati, quando il “quarto potere” avrà perso il diritto di cittadinanza?
Dalla lettura e visione di Page one indugiando sulla morale o le morali dei protagonisti del giornale viene da riflettere che David Carr e soci sono le persone da cui vorremo ricevere le informazioni. Loro si impegnano nel modo giusto per la ricerca e l’approfondimento di qualità. Non scrivono senza editore; le informazioni non arrivano al lettore senza passare prima attraverso varie selezioni.
Ma questo, forse, nasce dalla venerazione del regista Rossi per i suoi eroi del NYT per cui il principale scopo del documentario è l’apologia e l’esaltazione dei suoi uomini, personificazione del giornalismo stesso, minacciato dal nuovo business. Dove il furto della pubblicazione della vicenda del coinvolgimento americano in Vietnam “Pentagon papers” viene ancora giustificata esaltandolo come uno dei migliori momenti di giornalismo; dove l’attivismo del NYT spesso si arroga diritti assoluti fornendo modi migliori di vedere le cose che solo persone come loro possono offrire.
Come afferma James Bowman, critico americano: l”ironia è che la reazione del pubblico contro questo tipo di arroganza e ipocrisia contribuisce in gran parte al successo dei nuovi media, la sfrontatezza e lo stridore della molteplicità delle voci almeno non permettono a nessuno di loro di farla franca fingendo, come il Times fa così abitualmente, di essere la voce di Dio.
Le previsioni riguardo alla fine della carta stampata e al tempo in cui avverrà? Dipende tutto da quello che la vecchia guardia giornalistica saprà proporre. È il New York Time… non può fallire. Suona, però, come voce scaramantica nella sensazione del pericolo.
Piero Giordano
Foto: http://www.flickr.com/photos/jfingas/4530836705/