
Paesaggio agreste, uno scenario da modellare con cura
Spesso la singolarità del paesaggio agreste è sacrificata a causa di tecniche agricole mal ponderate e dell’espandersi di spazi dedicati a commercio, produzione e viabilità. La salvezza contro la banalizzazione dello scenario rurale può passare anche attraverso tecniche agricole più avvedute: l’agricoltura biologica, ad esempio. (Foto: © Raffaele Basile – Tempovissuto)
Il paesaggio agreste è il prodotto di secoli d’interazione tra uomo e natura. Anche se la tecnologia avanza e rimescola un po’ le carte, i ruoli sono ancora ben definiti. La natura modella il suolo, caratterizza clima e la scarsità o abbondanza di acque. L’uomo si prende cura delle tecniche produttive, della selezione delle colture, delle vie di accesso ai fondi e delle costruzioni rurali. La risultante di tutto ciò è il paesaggio agreste, un mix di produttività, cultura e ambiente. Proprio nei giorni scorsi è stato presentato in anteprima a Parigi il film-documentario “Costruiamo un paesaggio Bio”, realizzato dall’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (A.I.A.B.) in partenariato con enti di ricerca e sperimentazione francesi e con il contributo dell’Unione Europea. In esso, sono raccolte le migliori esperienze europee di costruzione di scenari rurali mediante la sinergia delle tecniche dell’agricoltura biologica e della valorizzazione di tradizioni e peculiarità locali. Una testimonianza preziosa degli esempi virtuosi da seguire per evitare la banalizzazione del paesaggio agreste. L’architetto Domenico Nicoletti, segretario generale dell’Osservatorio europeo del paesaggio, è tra i protagonisti narratori del film e non ha esitazioni nel considerare che «la bellezza, compresa quella dei paesaggi, è una categoria dell’anima e riguarda la qualità delle cose percepite». Salvatore Basile, vicepresidente dell’A.I.A.B., ha presenziato a Parigi alla proiezione “istituzionale” del documentario ed è convinto che «agricoltori, consumatori, studiosi, amministratori devono lavorare insieme per un grande progetto comune di salvaguardia del territorio da banalità e appiattimento».
Proprio l’agricoltura biologica sembrerebbe il metodo più indicato per soluzioni produttive rispettose del paesaggio agreste. Ciò, soprattutto quando tale tecnica produttiva riesce a rapportarsi al tessuto sociale e paesaggistico in cui s’inserisce. In effetti, negli ultimi decenni, superfici un tempo occupate da terreni agricoli sono state spesso sostituite da “nonluoghi”, spazi anonimi quali aree con capannoni, ipermercati, aeroporti, nodi stradali. Molte superfici con destinazione agricola sono state inoltre destinate a un uso monocolturale e intensivo, che ha condotto a una certa piattezza e scarsa attrattività del panorama. Eppure, anche quando non può contare su scenografie di particolare suggestione, il paesaggio rurale può avere una sua intrigante e ben precisa caratterizzazione, paragonabile per certi versi alla personalità umana. Possiamo così imbatterci in un paesaggio agreste un po’ introverso, defilato rispetto a strade e centri abitati, con i terreni che s’inerpicano come tessere di puzzle tra curve e tornanti. Altre volte invece il paesaggio agreste ci appare più espansivo ed estroverso, ampiamente disteso mentre porge generosamente le sue zolle ai raggi del sole. Alcune metodologie agricole − proprie dei sistemi industrializzati − hanno invece sfruttato in maniera troppo miope i terreni. Così il paesaggio agreste si è spesso intristito e impoverito di significati. È apprezzabile quindi che s’inizi a pensare di correre ai ripari per cercare di arricchirlo nuovamente, di una ricchezza che non strizzi solo l’occhio al portafogli. Perché anche i paesaggi hanno un loro carattere, e se esso è “buono”, i riflessi non possono che essere positivi per tutti, ambiente e uomo compresi.
Raffaele Basile