Nobel per la Pace 2011, vince un “tris di donne”
Le tre vincitrici: Ellen Johnsonn Sirleaf (Liberia), Leymah Gbowee (Liberia) e Tawakol Karman (Yemen). Donne e Nobel per la Pace negli ultimi venti anni. Il vincitore dello scorso anno, Liu Xiaobo, langue ancora nelle carceri cinesi.
Vittoria plurale, oltre che al femminile, al Premio Nobel per la Pace 2011. Il prestigioso premio è infatti andato a tre donne: la presidentessa della Liberia, Ellen Johnsonn Sirleaf, la connazionale Leymah Gbowee, militante pacifista, e l’attivista per la democrazia Tawakol Karman, yemenita.
Motivazione del riconoscimento: «Per la loro lotta non violenta a favore della sicurezza delle donne e dei loro diritti verso una partecipazione piena al processo di costruzione della pace»: un sostegno al protagonismo del genere femminile nei Paesi in via di sviluppo.
Ellen Johnson Sirleaf è dal 2005 la presidentessa della Liberia, prima donna alla guida di uno Stato africano. Una delle “icone” della nuova Africa, fu condannata a dieci anni di carcere dal regime del presidente Doe e costretta a rifugiarsi negli Stati Uniti. È stata recentemente riconfermata presidente da elezioni segnate da tensioni e violenze, e da una percentuale di votanti molto bassa (37,4 %).
Leymah Gbowee è stata la protagonista della mobilitazione femminile contro la guerra civile con il suo movimento “Women of Liberia Mass Action for Peace”. Si è dedicata con molto impegno al recupero dei bambini-guerrieri liberiani. Determinante è stato poi il suo sostegno alla prima elezione della Sirleaf.
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Infine, Tawakol Karman, yemenita. Ha 32 anni, gli stessi del regime del presidente Saleh, cui si oppone. Ha fondato l’associazione “Giornaliste senza catene”, a favore della libertà di espressione delle donne. Arrestata nel gennaio 2011 e liberata pochi mesi fa, Karman è divenuta in breve tempo uno dei volti della “Primavera araba”.
Ma non è certo la prima volta che il Nobel per la Pace viene declinato al femminile.
Delle cinque vincitrici dell’ultimo ventennio, quelle più impresse nella memoria collettiva restano Aung San Suu Kyi (premiata nel 1991) e a Rigoberta Menchú (nel 1992). A quest’ultima, esponente del movimento pacifista guatemalteco, il Nobel fu assegnato quale «riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene». Nel 1987 ha pubblicato “Mi chiamo Rigoberta Menchù”, la sua autobiografia, inserita nel contesto della soppressione degli indigeni in Guatemala. Nel 1991 ha preso parte alla stesura della dichiarazione O.N.U. sui diritti delle etnie indigene e rimane ancor oggi portavoce dei diritti umani.
Aung San Suu Kyi, plurilaureata ad Oxford, è leader del movimento nonviolento in Myanmar e dell’opposizione alla dittatura militare, che l’ha costretta agli arresti domiciliari dal 1989 al 2010. Ha vinto, oltre al Nobel, i premi Rafto e Sakharov. Nel 2007 l’ex Premier inglese Gordon Brown, nel suo libro “Eight Portraits”, l’ha definita un modello di coraggio civile e di libertà. E nel 2008 viene insignita da George W. Bush della Presidential Medal of Freedom. Nel 2011 il regista francese Luc Besson ha diretto un film su Suu Kyi, “The Lady”.
Tornando al Nobel di quest’anno, rimane prigioniero nelle carceri cinesi il vincitore del 2010, lo scrittore Liu Xiaobo.
Si sa, i regimi illiberali non gradiscono i dissidenti. Tantomeno, se hanno vinto un Nobel.
Stefano Tozzi
Foto: http://www.flickr.com/photos/otromundoesposible/6219420771/