Missione Africa: l’impegno di NutriAid

Il soccorso di NutriAid onlus ai Paesi africani più soggetti a carestie e malattie, attraverso la testimonianza di Giorgio Demarchi. (Foto: Flickr cc antonellasinopoli)

Ogni modernizzazione attraversa delle fasi, ed esse necessitano di tempi più o meno lunghi e di soluzioni diversificate. Un rapidissimo sviluppo demografico sta interessando i Paesi della fascia sub sahariana, e si prevede un’impennata che porterà l’attuale popolazione dai 770 milioni di persone del 2005 a un totale di 1,5/2 miliardi nel 2050 (dati FAO). Parimenti, ancora alto rimane il tasso di malnutrizione e di malattie come l’Aids.
Ma, a fronte di un’Africa in rapida crescita, proiettata verso l’occidente, resiste un’Africa australe e antica, culla e nutrice di millenarie civiltà, come raccontano i miti che si tramandano nei micromondi delle antiche comunità di villaggio che oggi si apprestano ad entrare nel… villaggio globale. Una transizione che risulta difficile: già molti anni fa, ad esempio, il grande intellettuale maliano Amadou Hampâté Bâ (1900-1991) osservava che l’idea di nazione com’è nota a noi occidentali è rimasta estranea alla cultura africana per tanti secoli; e le suddivisioni politiche di numerosi stati del continente rispecchiano quelle date dai colonizzatori europei, e in taluni casi non corrispondono ad altrettanti e netti confini etnici.
Una situazione confrontabile, pur con evidenti differenze, a quella di alcune regioni storiche dell’Europa orientale e balcanica, le cui configurazioni politiche sono il risultato di compromessi politici e laboriose macchinazioni diplomatiche che spesso hanno dato luogo ad anomale e artificiose costruzioni statuali (come il caso dell’ex Jugoslavia) al cui interno si è fatta sempre più acuta la questione delle minoranze nel variegato e complesso melting pot esistente. Da ciò sono scaturite, spesso, sanguinosissime guerre civili e famigerati genocidi: in Europa come in Africa. Qui, in alcune tra le aree del continente più colpite da fame e malattie, opera dal 1996 NutriAid Onlus, impegnata in Ruanda, Senegal, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Madagascar e Somalia. NutriAid si avvale dell’intervento di qualificati medici volontari e garantisce alla popolazione assistenza materiale e morale. Come ci testimonia Annunziata Gattarello (pediatra e membro di una missione NutriAid), l’aiuto prestato dai medici di NutriAid non si limita a fornire cure mediche alle singole persone bisognose, in maggioranza bambini, ma consiste anche in un’attività di sostegno alle intere famiglie, aiutandole a reinserirsi nel loro ambiente, affinché non ricadano in situazioni di pericolosa indigenza. Nell’ambito di un lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, è da ricordare il calendario 2011 realizzato per NutriAid da Pietro Masturzo, premio World Press Photo of the Year. Pur coinvolti nella dimensione pratica del loro intervento, i volontari di NutriAid si fanno testimoni in presa diretta di una realtà sulla quale certamente si interrogano; abbiamo intervistato il cofondatore di NutriAid, il dottor Giorgio Demarchi, che ci ha illustrato in che modo si svolga la missione di questi angeli in camice bianco.

Dottor Demarchi, parte importante della vostra attività consiste nel sostegno alle famiglie nella fase successiva a quella dell’emergenza alimentare. Per i soggetti più deboli, quali possibilità di inserimento si prospettano? E una volta superati i momenti più critici, in che modo intervenite?

Il momento più critico è quello del ricovero nel centro nutrizionale in cui, a seconda della gravità delle condizioni del bambino malnutrito, vengono somministrate le terapie mediche e farmacologiche adeguate. Successivamente, dopo il periodo di degenza e riabilitazione psicomotoria prevista nel protocollo della cura della malnutrizione, il bambino ritorna alla propria abitazione e purtroppo alle precedenti condizioni di indigenza e mancanza di cibo. Questo è proprio il momento in cui noi interveniamo, supportando la famiglia non solo con beni di prima necessità, quali alimenti ad elevato potere nutrizionale, medicinali, coperte, ma soprattutto inserendo la famiglia in cooperative precedentemente create che svolgono attività generatrici di reddito.
Questo permette alla famiglia di uscire dal circolo della povertà e ridona dignità alle persone.

In questa fase, l’alfabetizzazione gioca un ruolo fondamentale. Ma l’importazione di modelli culturali ed economici occidentali ─ spesso imposti dalla competizione mondiale ─, se da un lato garantirebbe uno sviluppo generalizzato e inserirebbe progressivamente questi Paesi sulla scena globale, dall’altro potrebbe comportare un’inevitabile compromissione della loro specificità storica, e tradursi in un processo di acculturazione neocolonialistica?

Nei nostri progetti di sviluppo in effetti l’alfabetizzazione svolge un ruolo fondamentale per interrompere il circolo malnutrizione-povertà ed è per questo che tutti i bambini da noi curati vengono inviati alla Scuola pubblica primaria, con le spese della scolarizzazione a carico di NutriAid e con programmi didattici garantiti dai Ministeri dell’Istruzione dei vari Paesi, proprio per garantire la loro specificità storica e culturale.

Nella sua esperienza a contatto con la popolazione africana, secondo lei qual è la più alta qualità umana che contraddistingue questo popolo? E che cosa simboleggia al meglio l’anima del continente?

È sempre difficile definire in sintesi le caratteristiche dei popoli, che a volte possono apparire ad un’analisi superficiale o necessitano di una più approfondita che possa contemplare anche le abitudini ancestrali; d’altronde cosa simboleggia al meglio l’anima del continente europeo? Una qualità umana dei popoli africani, che comunque appare evidente, anche agli occhi del semplice viaggiatore, è la gioia della vita, a dispetto del raziocinio e di indicibili privazioni o sofferenze; qualità che le nostre società più ricche hanno sicuramente affievolito nel tempo.

In sede politica, secondo lei come dovrebbe essere impostato il problema della razionalizzazione delle risorse agricole e quello dei fondi da destinare alle Ong come la vostra che si sostentano tuttora in massima parte con fondi privati?

La globalizzazione ha sicuramente modificato i programmi di razionalizzazione delle risorse alimentari e dell’acqua, il bene più prezioso della Terra, ed appare ormai evidente che un tale problema non possa che essere affrontato a livello mondiale nelle Sedi competenti e con il contributo di tutti i Paesi coinvolti; riguardo ai fondi da destinare alle ONG ed alle ONLUS questi non possono che dipendere dai programmi governativi dei singoli Paesi, e quindi da molteplici variabili, spesso indipendenti dagli specifici progetti; per quanto concerne NutriAid, ritengo comunque opportuno sottolineare come la maggiore parte dei nostri fondi economici derivino da donazioni private e non pubbliche, ulteriore segno di come l’Italia sia sempre partecipe ai progetti di solidarietà e volontariato.

Limitando l’osservazione ai cinque Paesi in cui operate ─ il Ruanda, il Senegal, la RDC, il Madagascar e la Somalia─, su quali risorse le comunità locali possono puntare per inserirsi nell’agone del mondo globalizzato?

Questi Paesi sono molto differenti tra di loro sia per tradizione, cultura religiosa e situazioni socio-economiche e politiche che hanno trasformato radicalmente le loro società negli ultimi decenni. Un po’ come se dovessimo pensare, in Europa, alla Norvegia, che ha il primato mondiale nell’Indice di Sviluppo Umano e alla Grecia che rischia la bancarotta. Ciò che senza dubbio questi Paesi potrebbero fare in comune è sviluppare le proprie risorse migliorando le tecniche di produzione, aumentando le competenze e valorizzando le capacità interne.

Alla luce dei rapidi cambiamenti che stanno attraversando queste aree, come si sta ridefinendo il rapporto tra gli insediamenti rurali più periferici e le città che si ingrossano? Secondo lei, i primi rischiano un pericoloso isolamento o sono destinati, in tempi ristretti, ad essere assorbiti?

La globalizzazione e le variazioni climatiche definiscono chiaramente i cambiamenti sociali, dettati principalmente da ragioni economiche e presenza di risorse alimentari, quali il sempre maggiore affollamento dei centri urbani ed il progressivo abbandono dei centri rurali, ma ritengo comunque opportuno sottolineare come in Congo, Madagascar, Rwanda, Senegal e Somalia questo fenomeno sia forse meno significativo rispetto ad altri Paesi, probabilmente sia per caratteristiche geografiche del territorio che per realtà socio-culturali.

C’è un episodio particolare della sua esperienza di medico in Africa che vorrebbe condividere con i nostri lettori?

Dopo dodici anni di Africa ho sicuramente arricchito la mia anima ed il mio cuore nella quotidianità con i bambini assistiti da NutriAid e quindi faccio sempre fatica a selezionare dei singoli momenti ma vorrei comunque condividere con i lettori un episodio specifico: ero in missione in Rwanda al nostro centro Nutrizionale e mi trovavo, per gioco, ultimo, in coda alla distribuzione del pasto pomeridiano, giunto il mio momento chiaramente non ricevetti niente come se fosse terminato il cibo a disposizione; allora il bambino, di circa cinque anni, che mi precedeva, vedendomi deluso, si voltò e mi diede la sua merenda facendomi cosi ancora una volta comprendere il semplice ma rivoluzionario gesto della condivisione e del dono.

Marco Cesareo

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