Whitney Houston, la ragazza con la pelle color di pesca
Whitney Houston: 170 milioni tra album, singoli e video venduti, una carriera da modella, un’affermazione cinematografica culminata nel famoso film The Bodyguard, l’artista più premiata e popolare del mondo secondo il Guinness dei Primati 2008. Che dire ancora di lei? (Foto: www.whitneyhouston.com)
Beverly Hills, pomeriggio dell’11 febbraio 2012. Whitney Houston non c’è più. Un’altra Voce stroncata da una vita sregolata. L’amica del cuore Robyn Crawford, «la sorella che non ho mai avuto» come la definiva Whitney, dirà di lei: «Nessuno era in grado di impedire nulla a Whitney. Lei faceva tutto quello che voleva. Lei doveva farcela!».
Whitney Houston era nata a Newark il 9 agosto del 1963. La sua vita era la musica, la sua missione cantare. E di musica nell’infanzia di Whitney Houston ce n’è stata davvero tanta. Era ancora nella pancia della mamma Cissy Houston, quando questa faceva la corista per Elvis Presley, Mahalia Jackson, Wishbone Ash e Aretha Franklin. Poi quando la madre intraprese la carriera da solista di soul e gospel, portava con sé la bambina. Le sue zie Dionne Warwich e la meno nota Dee Dee Warwich, insegnavano alla piccola Whitney a recitare le preghiere su basi gospel. Il suo futuro non poteva essere altrimenti, era solo una questione di tempo perché la ragazza provasse il desiderio di esprimere se stessa cantando. Un caso, il suo, in cui il talento si è accresciuto col cambio generazionale. In famiglia lei era la più dotata. La sua prima sala prove è stata la chiesa, la stessa nella quale avevano iniziato a cantare anche la madre e le zie. A quattro anni entra nel coro gospel della New Hope Baptist Church di Newark, a undici fa la prima esibizione da solista, interpretando un inno sacro: «Avevo tutti gli occhi puntati addosso, quel giorno.
Erano tutti immobili. Quando ho finito, tutti si sono messi ad applaudire e a piangere». All’età di quattordici anni ha già esordito nel mondo della musica commerciale, come vocalist di Chaka Khan nella sua famosa I’m Every Woman. Per quanto si tentassero paragoni di stile interpretativo, c’era poco da fare, alla fine tutti gli accostamenti vocali risultavano forzati. Non somigliava a nessun’altra. Come modulava la voce, passando dal fraseggio all’acuto, o interpretando standard o ballad, era unica. Non ce n’erano molte in giro con un’estensione vocale di tre ottave. A quei tempi si presentava come Whitney Elizabeth Houston, faceva da spalla negli show che sua madre teneva a Manhattan, ma aveva la capacità di farti sognare per poi risvegliarti bruscamente al primo cambio di tonalità. Whitney Houston c’era già, lei lo sapeva, come lo avvertivano anche tutti quelli che per caso o per mestiere la ascoltavano. Fu così che Clive Davis, amico e manager discografico, la scritturò. Non la mollerà mai fino alla fine. È il 1982, Memories è il suo primo brano da solista, una cover dei Soft Machine. Da quel primo brano i successi mondiali non si contano più.
Una personalità artistica tanto decisa quanto fragile, quella di Whitney Houston: «Nessuno mi fa fare qualcosa che non voglio fare. È una mia decisione. Quindi il mio più grande diavolo sono io. Sono il mio miglior amico o il mio peggior nemico».
Noi ti ascolteremo ancora incantati ogni volta che avremo bisogno di sognare, Whitney,tutto il resto non è storia nostra.
Erino Poli