L’evoluzione della street art

La street art, una delle forme d’arte più rappresentative della contemporaneità, parla di etica, società, rivoluzione, si mescola alla politica e potenzia la sua carica espressiva e comunicativa. (Foto 1: Bansky.co.uk; foto 2: Obeygiant.com)

Banksy – Riot

Graffiti, scritte, colori, magie prospettiche, messaggi politici e sociali. La street art, da forma di espressione di giovani adolescenti, si è trasformata in una vera e propria arte con le sue mostre e i suoi artisti riconosciuti e venduti.
Banksy è uno degli street artist più famosi, esponente di spicco della guerrilla art, l’arte di strada anonima. Probabilmente di Bristol, Banksy ha cominciato ad abbellire i muri delle città dalla fine degli anni Ottanta, scegliendo sempre temi fortemente caustici, polemici, che hanno al centro la società, l’etica, la politica.
“Politica” sta diventando un termine chiave quando si parla di street art. Negli ultimi anni, infatti, l’arte di strada, nata come forma di ribellione e di dissenso, come mezzo per esprimere la propria libertà e creatività senza vincoli di alcun tipo se non quelli del rispetto per l’ambiente urbano, sta assumendo volti sempre diversi, sfaccettature insolite, ruoli inaspettati.
L’inizio del binomio politica-street art risale al 2008, anno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il manifesto elettorale ufficiale dell’attuale presidente, Barack Obama, era un’immagine del suo volto con sotto la scritta “HOPE”. L’autore del manifesto era Shepard Fairey, meglio noto con il nome d’arte Obey, da quel momento uno dei più noti street artist del globo. La street artsi era messa in quel caso volontariamente a servizio della politica, per appoggiare il volto della speranza e del cambiamento per tutto il mondo occidentale.

Obey – Obama Hope

Nel 2010, invece, il primo ministro britannico, Cameron, ha scelto l’opera Twenty First Century City di Ben Eine, artista londinese maestro nei graffiti e nel lettering, come regalo proprio per Barack Obama. Lo scorso anno, poi, ha deciso di usare un graffito come sfondo per la conferenza che annunciava l’avvio della repressione degli scontri londinesi.
Il mondo della politica sembra aver capito le potenzialità di un’arte accessibile a tutti, dalla visibilità enorme, proprio perché usa le strade, i muri, i palazzi, come tele delle sue creazioni. Un’arte “povera”, “economica”, che al posto dei pennelli usa le bombolette spray e lo stencil. Un’arte, però, che si può anche trasformare in poster, in serigrafia, in scultura, che può essere esposta nei musei. Un’arte nata libera che rischia di essere istituzionalizzata, di entrare nei canali artistici consueti, di diventare strumento di quello stesso sistema che era nata per combattere. O almeno una parte di essa. Molti street artist continuano a convogliare messaggi rivoluzionari, fondamentali, coraggiosi. È il caso di Aleksandra Kachko, il cui nome d’arte è Zoa o Rosovi Bint, artista russa di 25 anni, più volte arrestata perché denuncia le irregolarità del regime di Putin con i suoi murales. C’è quasi sempre una donna nei suoi lavori: in manette, crocifissa, col sorriso malizioso e consapevole di chi sa cosa accade realmente per le strade di San Pietroburgo.
La street art è ancora “pericolosa”, espressiva più che mai, e, forse, attraverso le scelte di Obama e di Cameron, balzando ancora più visibile agli occhi del mondo, ha aumentato la sua fama, la sua influenza, il suo potere comunicativo.

Silvana Calcagno

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