Leggenda o realtà?

Da Praga a Napoli un viaggio lungo una sottile linea misteriosa che unisce il nord e il sud dell’Europa attraverso due leggende del periodo rinascimentale, un tempo dove bastava ancora poco per passare dalla scienza alla stregoneria e dove le credenze popolari non facevano che acuirne i misteri.

Veduta di Praga

Praga è per me una città dal fascino ambiguo, con diversi volti e diverse anime, una città che può essere visitata attraverso i suoi musei e i suoi monumenti, ma allo stesso tempo può semplicemente essere vissuta per la strada assaporando la sua atmosfera antica e misteriosa. Le sue storie e le sue leggende hanno permeato l’aria e le mura a tal punto che è impossibile anche per i profani non camminare sentendosene avvolti. Percorro i suoi vicoli orlati da austeri palazzi fino alla Piazza della Città Vecchia dove fa bella mostra di se il controverso ed indecifrabile orologio astronomico; cammino in direzione del più famoso passaggio sulla Moldova, il Ponte Carlo, dove le statue inanimate dei santi sembrano più che mai avere una propria anima e da dove non si può fare a meno di gettare uno sguardo sul castello che domina dall’alto la città e racchiude tra le sue mura la magnifica cattedrale di San Vito, un prezioso esempio gotico arricchito di affreschi e dai suoi inquietanti gargoyle. Attraversata questa spina dorsale di monumenti potrebbe sembrare di aver già colto l’essenza di Praga, ma non si sono ancora fatti i conti con una delle sue leggende più misteriose ed inquietanti: il Golem.
È infatti passeggiando al crepuscolo per le vie silenziose e cupe del quartiere Josefov, il ghetto ebraico, che un brivido corre lungo la schiena e la leggenda del Golem torna alla memoria. Sono molte le versioni in circolazione di questa storia, ma tutte concordano sul fatto che nel XVI secolo durante il regno di Rodolfo II d’Asburgo, il rabbino Jehuda Löw Ben Bezalel, grazie ai poteri della Kabbalah creò un Golem per difendere la comunità ebraica che a quel tempo era relegata ai margini della società a causa delle maldicenze sui loro poteri occulti e sui loro affari. Plasmando la creatura con l’argilla della Moldova la risvegliò scrivendo sulla sua fronte uno dei nomi di Dio, la parola “verità” (in ebraico emet). Il potere del mostro d’argilla si rivelò dirompente, ma ben presto diventò più violento del previsto, distruggendo tutto quello che incontrava sul suo cammino. A questo punto il rabbino, che ne aveva perso il controllo, si vide costretto a togliergli la vita cancellando dalla sua fronte la lettera “e”, la parola divenne così met (morte), e la materia grezza (golem in ebraico) di quello che restava del possente mostro fu relegata nella soffitta della Sinagoga Staronova.

L’orologio astronomico di Praga

È quasi buio, le vie sono silenziose e deserte, getto uno sguardo tra le fessure presenti nel muro di cinta del vecchio cimitero ebraico ora chiuso al pubblico. Davanti a me una distesa di lapidi logore scolpite nella pietra e tra di esse si nasconde anche quella del rabbino Löw; l’immagine della lapide unita a questo pensiero mi inquieta, sarà forse perché, secondo un’altra leggenda, il Golem fu riportato di nuovo in vita dal figlio del rabbino e potrebbe ancora oggi vegliare sulla città di Praga e sugli abitanti del ghetto.
Le strade di Praga, però, non sono le sole a risvegliare nell’animo ricordi di strane leggende.
Alcuni stretti vicoli della città di Napoli si ammantano della medesima ombra di mistero, nata dagli antichi racconti che vi dimorano. Anche qui un misterioso personaggio fu protagonista di esperimenti alchemici miranti a svelare i più reconditi misteri delle trasformazioni della materia.

Facciata della cappella Sansevero

Raimondo Maria de Sangro, principe di Sansevero, fu infatti un grande pensatore, scienziato ed alchimista, che, come troppo spesso capita alle grandi menti innovatrici, subì la tracotante ira dell’ignoranza, finendo per essere ricordato quasi alla stregua di un rabbino Low Bezalel partenopeo.
Il centro di questa storia è la Cappella Sansevero, scrigno di tutti i misteri legati al principe; edificata nel Cinquecento, Raimondo De Sangro la scelse come cappella di famiglia, abbellendola con affreschi indelebili perché dipinti con colori di sua invenzione. Non sono queste, però, le bizzarrie che ne hanno fatto un così controverso personaggio. Nella stessa cappella, infatti, sono conservate diverse sculture dalle fattezze tanto incredibili da rendere inevitabile la nascita di leggende sulla loro creazione. Si tratta delle statue de la “Pudicizia”, del “Disinganno” e del celeberrimo “Cristo velato”. Tutte di marmo, queste tre opere scultoree hanno in comune un secondo, inquietante particolare: sono ricoperte da un velo (una rete nel caso del “Disinganno”), tanto sottile, tanto realistico, da dare la fortissima impressione di essere reale.
Questo bastò a scatenare le più fervide immaginazioni e ci volle poco tempo perché si cominciasse a parlare di particolari esperimenti di alchimia come la marmorizzazione dei tessuti. I più audaci ipotizzarono perfino che non solo i veli e la rete avevano subito tale processo, ma le stesse persone scolpite sotto di essi.

Particolare del Palazzo Sansevero

Purtroppo queste leggende trovarono terreno fertile grazie ad altre due opere particolari conservate nella cappella. Note come le macchine anatomiche, sono forse gli oggetti che hanno maggiormente contribuito alla fama del principe De Sangro quale ambizioso alchimista. Questi strani oggetti sono delle perfette riproduzioni del sistema circolatorio di due esseri umani, un maschio ed una femmina incinta. La ricostruzione appare tanto esatta da lasciar pensare che in realtà sia stata ottenuta iniettando una qualche sostanza nei due corpi. Proprio questa è infatti la leggenda che ormai circola da due secoli. Tralasciando l’assurdità insita nel racconto, a confutare ulteriormente tali ipotesi contribuisce la data d’invenzione della siringa ipodermica, posteriore di oltre trent’anni alla morte del principe De Sangro.
Le macchine anatomiche, infatti, non sono che ottime riproduzioni commissionate ad un anatomista palermitano, Giuseppe Salerno, dal principe per i suoi studi di medicina;così come le sculture altro non sono che dei capolavori dello scultore Giuseppe Sammartino.
Come i vicoli di questa città si liberano da ogni ombra d’inquietudine con l’arrivo dell’alba, così la figura del principe di Sansevero ci mostra, dunque, il suo vero volto di scienziato, libero dalla maschera di oscuro alchimista.

Daniele Pistoni & Davide Lepore

Click Here to Leave a Comment Below