Le sacre ed ancestrali geometrie di Carnac
Più di tremila pietre risalenti al Neolitico
Ci sono luoghi che più di altri ci mettono di fronte al nostro passato, luoghi che ci fanno riflettere e inconsapevolmente ci attraggono.
Carnac è uno di quei luoghi, in cui mi sono persa e ritrovata. É un piccolo paese della Francia nord-occidentale sulla costa meridionale della Bretagna, talmente piccolo che spesso le cartine geografiche dimenticano addirittura di riportarlo. Si tratta di un luogo enigmatico ed inquietante, un esempio unico nel suo genere, una sorta di tempio preistorico a cielo aperto. Nonostante secoli d’incuria e l’opera di demolizione messa in atto dai contadini della zona, migliaia di pietre (menhir) allineate per file e distanziate a cadenze più o meno regolari mi si presentano davanti, resistendo al tempo e creando un complesso megalitico che non ha eguali in Europa e nel mondo.
¼br> Menhir in bretone significa “pietra lunga” e si tratta, infatti, di una pietra di forma per lo più irregolare, infissa verticalmente nel suolo. L’altezza di questi monumento può variare da uno a venti metri. Singoli, solitari, oppure raggruppati in file, allineati o in cerchio, queste pietre assolvevano varie funzioni, fra cui quella di segnare i confini territoriali, evocare forze soprannaturali e molti altri ancora. La loro posizione non è affatto casuale e più li guardo e più me ne accorgo.
A Carnac assisto quasi incredula ad un’impressionante testimonianza di una civiltà scomparsa (risalente all’età neolitica, per cui 6000-2000 a.C.), sicuramente precedente all’arrivo nella regione dei Celti e delle popolazioni indoeuropee, civiltà che avrebbero abitato l’Europa e non solo di cui rimangono solo poche tracce ed una lingua parzialmente ricostruita dagli storici.
I suoi allineamenti per quattro chilometri, il numero di pietre, la concentrazione e l’estensione, fanno di Carnac il sito preistorico più importante d’Europa e non fatico a crederlo. I miei occhi attenti non ne percepiscono la fine, il terreno si modella quasi sotto il peso di questi filari rocciosi.
Ovunque mi giri scorgo impressionanti file di massi, disposti in ordine decrescente che si stendono attraverso pinete e brughiere per chilometri, fino a perdersi all’orizzonte amplificando il senso di vastità della natura e di piccolezza dell’essere uomo.
I circa 3000 menhir risalenti all’età del Neolitico che si trovano a Carnac, dalle forme e dimensioni più disparate (le più imponenti raggiungono anche i sette metri d’altezza, quelle più piccole non arrivano neanche ad un metro), sono distribuiti lungo tre campi diversi.
Il primo che s’incontra riguarda gli Alignements de Menec [“luogo del ricordo”] con 1169 pietre suddivise in undici file. Questo campo è preceduto da un cromlech (complesso di menhir allineati a semicerchio che inevitabilmente riporta la mia mente al luogo mitico di Stonehange, in Inghilterra, a non troppa distanza da qui e molto vicino per coincidenze storiche). Osservo stupita il gruppo di casette circondate dall’ellisse di pietre di circa cento metri di diametro (il cromlech, per l’appunto) costituito da menhir che si ergono fianco a fianco. Li conto velocemente, sono quasi settanta megaliti con un’altezza variabile che si aggira intorno al metro e mezzo.
Il successivo campo, distanziato dal primo di un centinaio di metri, è l’Alignements de Kermario [“Luogo dei Morti”] che raccoglie le rocce più maestose: 1029 menhir di oltre sei metri, allineati su dieci file in direzione nord-est; seguono gli Alignements de Kerlescan [“Luogo dell’incendio, della cremazione”] con 555 pietre disposte in tredici file che si susseguono per un chilometro. Ripenso alle cifre, alle larghezze e alle lunghezze: i numeri sono impressionanti. Ritmi ancestrali di geometrie megalitiche. Il silenzio racconta 6000 anni di storia. Pause e verticalità. Un grande spartito cosparso di note, accenti. Strani magnetismi di rimando tra i vari allineamenti. Stando lì in silenzio ad osservarli sembra di sentire uno strano rumore di rotolamenti, sordo; è il lavoro di centinaia di uomini che hanno voluto farsi ricordare per la loro forza usata in modo intelligente, per i loro sforzi geometrici.
Percorro in parte a piedi ed in parte in automobile questo sconfinato sito archeologico osservando geometrie variabili che non smettono di stupirmi. L’esperienza di vedere dal vero tutti questi menhir è indescrivibile, toglie il fiato. Mi viene spontaneo chiedermi il motivo per cui quegli uomini, migliaia di anni fa, si siano così adoperati per edificare un monumento di tali proporzioni che trasformò la campagna in un paesaggio surreale costellato da migliaia di menhir allineati in file quasi parallele (in francese alignements). La teoria scientifica prevalente è che siano stati usati come sistema di misurazione o per le previsioni astronomiche per registrare e misurare i movimenti apparenti del sole, della luna e delle stelle. Ed il fulcro di questo sconfinato osservatorio astronomico doveva essere il Grande Menhir quello di Er-Grah, posto nel vicino sito archeologico del paesino di Locmariaquer a soli tredici chilometri da Carnac. Si trattava di un enorme blocco di granito lungo oltre venti metri per 350 tonnellate di peso, il più grande menhir che si conosca in Europa. Ad aumentarne il fascino è sapere che è stato tagliato da un blocco di granito di ortogneiss assolutamente estraneo alla penisola di Locmariaquer e straordinariamente simile alla roccia utilizzata a Stonehange. La corrispondenza di date, materiali, forme e simbologie lascia a bocca aperta, meriterebbe uno studio più approfondito e mi riprometto, una volta ritornata a casa, di cimentarmi (leggo velocemente sulla guida che anche Stonehange sembra sia stato edificato per motivi astrologici). Ora il Grande menhir giace sdraiato come un gigante stanco da quando, a causa del terremoto del 1722, si spezzò in quattro blocchi.
Gli storici hanno fatto per Carnac, come per Stonehange, molte ipotesi.
Alcuni associano la costruzione di questi grandi alignements a riti legati alle civiltà druidiche, altri al culto del sole. Quindi motivi religiosi, magici, astrali forse mescolati insieme. Mi guardo intorno e penso che forse non è così importante darsi troppi significati cercando a tutti i costi di svelare la magia di questo sito che in parte ne contribuisce al fascino. Mi accontento di passeggiare (dove concesso) tra le file di menhir, sfiorarli con le dita, carpire qualche loro particolare incisione (visto che un tempo su di essi erano scolpiti coppe, anelli, cerchi, stelle, ruote e molti altri simboli propiziatori) sentirne lo strabiliante potere attrattivo. Tra tutte le interpretazioni possibili attribuite a questo sito archeologico, ripeto tra me e me, preferisco abbracciare quella del folklore locale che identifica nelle file delle pietre verticali altrettanti soldati romani pietrificati da S.Cornely, patrono di Carnac, al fine di salvare la città dai saccheggiamenti e soprusi di quell’esercito.
Queste pietre conficcate nel terreno (i menhir o soldati?) a formare cerchi misteriosi ed interminabili viali stanno a significare un grande enigma insoluto; è difficile, infatti, spiegare come popolazioni preistoriche del neolitico abbiano potuto trasportare, sollevare e raddrizzare massi di proporzioni straordinarie a meno che, come ipotizzano alcuni studiosi più fantasiosi e provocatori, non fossero mosse da forze ed energie divine. Ecco perché definirei questi aligmements semplicemente sacre geometrie senza cercare di svelare gli altri significati, un po’ come deve succedere per l’arte contemporanea: tante letture personali, intimistiche, infinitamente preziose e pure.
Mi allontano dal sito sentendo dentro di me una pace quasi irreale.
Elena Sandre