Famagosta, ostaggio della storia – Cipro

Le vestigia dell’antica città

Passeggiando nel reticolo di strette vie circoscritte dalle possenti mura cittadine, si possono osservare ancora le profonde ferite dell’assedio. Siamo a Cipro e più precisamente a Famagosta, città protagonista cinque secoli fa di un atto di resistenza che può ben vantarsi dell’appellativo di “eroico”; una guarnigione di seimila uomini asserragliati dentro la città riuscì a resistere per quasi un anno all’assedio di duecentomila Turchi. La conquista fu sancita per resa dei superstiti il 17 agosto del 1571, a meno di due mesi da una delle battaglie più importanti della storia cristiana: quella di Lepanto.

Per provare a vivere le suggestioni dell’evento storico, è sufficiente recarsi, seguendo il dolce declivio che porta verso il mare, alla Cittadella, l’ultimo baluardo di resistenza della fortezza veneziana, e lì salire sui bastioni per ammirare, da un punto di vista privilegiato, il duro profilo della città. Chiese diroccate, palazzi crollati e macerie di abbazie sono ancora presenti e incastonati in un tessuto urbano che dall’epoca ha subito poche variazioni.
Le mura ancora oggi circondano nella sua interezza la città, persino lungo il versante marittimo, oggi ampliato e trasformato per facilitare le nuove esigenze portuali. Al centro di Famagosta si distingue, alto e fiero, l’esempio più pregevole di architettura gotica dei Lusignano [1] dell’intera Cipro. La chiesa, sorta nel XIII secolo sul modello della cattedrale di Reims e dedicata a San Nicola, fu trasformata in moschea dopo l’occupazione ottomana del 1571 e ancora oggi svolge tale funzione nel nome del suo conquistatore, Lala Mustafa Pasa. A testimonianza di questo, si possono distinguere due importanti elementi: la torre a sinistra della facciata, completamente distrutta assieme a quella di destra durante il bombardamento turco, fu ricostruita con l’inserimento di un piccolo minareto; l’interno, maestoso e svettante, fu ripulito di ogni testimonianza cristiana e imbiancato a calce come previsto da tradizione mussulmana.
Dal bastione della Cittadella si possono scorgere i resti della Chiesa di San Giorgio, completamente sventrata dalle cannonate, ma che ancora oggi presenta al suo interno suggestivi, seppur sbiaditi, esempi di affreschi con soggetti cristiani, e del Palazzo veneziano, di cui però se ne può solo intuire la maestosità osservando la mole dell’unica parete rimasta in piedi.
Nell’altro verso della città, da dove parte la strada che conduce a Limassol, troviamo il torrione più massiccio delle mura: il Rivellino. Lì vi era l’entrata principale di Famagosta, lì si concentrarono gli sforzi e gli attacchi degli ottomani e proprio lì fu aperta la breccia che costrinse la cittadinanza a fuggire verso il porto e a trovare rifugio temporaneo nella Cittadella. I veneziani difesero il torrione ricostruendo di notte le parti di esso distrutte dai Turchi negli assalti diurni. Un lavoro costante e necessario, dettato dalla (vana) speranza di veder approdare un giorno nel porto i rinforzi inviati da Venezia. Rinforzi però che Venezia, già consapevole del fatto che le sorti dello scontro si sarebbero decise in mare, non inviò mai.
Il maestoso e, per il tempo, moderno assetto difensivo di Famagosta, per lo più eretto dai veneziani durante il loro breve dominio, è giustificato dall’importanza strategica che ricopriva non solo la fortezza veneziana, ma l’intera isola di Cipro, base d’appoggio ideale per organizzare le spedizioni di conquista in Terra Santa e per il mantenimento delle rotte commerciali verso i più importanti porti siriani e libanesi, vere e proprie porte d’accesso ai mercati d’Oriente [2]. Per questo i Turchi presentarono un tal dispiegamento di forze: la riconquista dell’isola era obiettivo fondamentale per ben posizionarsi nello scacchiere di potere del Mediterraneo.
L’imponente fronte d’attacco ottomano giunse alle porte di Famagosta con già il pieno controllo dell’intera isola e l’esercito turco, non avendo incontrato significative resistenze nelle altre città, si presentò con i ranghi completi e ben serrati. Osservare la città dal bastione della Cittadella non solo aiuta a comprendere l’imponente impianto difensivo di Famagosta, ma suggerisce in abbondanza anche immagini e suggestioni di quella battaglia. Immagini concrete e reali, tratte dall’osservazione delle macerie di un’abbazia benedettina a pochi passi dal Bastione Nord, il Bastione Diamante, ed immagini ipotetiche e fantastiche, come quella che ha preso forma col tempo nella mia mente figurando, nella piana a sud della città, l’accampamento degli ottomani, fra fuochi, fumi e drappi al vento.
Immagini ipotetiche e fantastiche di una battaglia epica e reale che ha trovato leggendario risalto nell’eroica figura del condottiero Astorre Baglioni e, soprattutto, in Marcantonio Bragadin, vero artefice della resistenza cittadina. Fu lui, dopo dieci mesi di combattimenti, a pattuire e vergare con l’oro la resa con gli Ottomani, ma fu su di lui che si scagliò in tutta la sua irruenza la ferocia di Lala Mustafa Pasa. Non solo fece venir meno il patto di resa, devastando e bruciando la città ed uccidendo la maggior parte dei sopravvissuti, ma per undici giorni sottopose Bragadin a disumane torture. Infine venne condotto, sanguinante e stremato, di fronte ai ruderi del Palazzo veneziano, di fronte a ciò che restava della chiesa di San Nicola, nel cuore di Famagosta, nel cuore di quella città che lui aveva difeso fino all’ultima risorsa, e lì venne ucciso, mutilato degli arti, scuoiato e decapitato senza esitazioni alcune.

É forse cinico trovare suggestioni così forti nell’osservare da pacifico turista le memorie di queste ferite che ancora oggi sono profonde e riconoscibili? Probabilmente no, se raccolte con l’intento di voler capire ciò che ha condotto a simili devastazioni e a così cruenti atteggiamenti. Oggi la strada principale, che taglia da ovest ad est la città, è stata rimessa totalmente a nuovo e i vecchi magazzini delle derrate, quelli stessi che hanno permesso la sussistenza per dieci mesi a Bragadin e compagni, sono stati trasformati in negozi e bar. Ma è l’unica sutura moderna di quelle vecchie ferite; Famagosta, infatti, dopo vicende storiche alterne, ancora oggi è occupata militarmente dai Turchi, stavolta dai nuovi Turchi. Poco sembra quindi essere cambiato da cinque secoli a questa parte, ma in verità nell’aria non c’è odore di polvere e piombo, l’atmosfera è quieta e pacifica, la vita cittadina scorre senza assedi se non quelli impacciati dei pochi turisti, gli abitanti sorridono educati e abbracciano con sincerità lo straniero. Solo il mare, oltre la Cittadella, sembra rimanere sempre uguale e fedele a se stesso, non riservando, oggi come allora, alcuna importante novità all’orizzonte.

                     Graziano Martini

[1] Sono i discendenti di Guido di Lusingano, militare e cavaliere delle crociate francese, che per via matrimoniale divenne Re Consorte di Gerusalemme e condusse il regno crociato al disastro della battaglia di Hattin del 1187. Dopo la disfatta di Hattin, Guido ottenne una ricompensa per la perdita del regno con l’acquisto di Cipro dai Cavalieri Templari. I suoi eredi continuarono a reggere il trono di Cipro fino al 1474.
[2] Si hanno notizie di una visita di Leonardo da Vinci nel 1504 a Famagosta nel proposito di studiare e suggerire migliorie ai sistemi difensivi della fortezza.

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