L’Arlecchino dell’Arte

Il gioco dei contrari nella pittura di Pablo Picasso

“ In arte non vi è progresso né evoluzione: l’esempio del passato è efficace quanto la modernità e può essere ripresa senza per forza divenire accademico”.

Il 17 febbraio 1917 Pablo Picasso si recò a Roma assieme al caro amico Jean Cocteau per collaborare alla realizzazione della Parade, il primo balletto cubista di Sergej Diaghilev.
Il soggiorno romano cambiò la sua vita, sia dal punto di vista personale — qui conobbe la sua futura moglie Olga Koklova — che da quello lavorativo, poiché poté confrontarsi con la maestosità della città eterna, che lo portò ad affrontare uno dei “dilemmi” che ciclicamente ha colpito molti artisti: il rapporto con il passato e con il classico. La citazione può essere vista come la linea guida che ha condotto alla scelta dei quadri che sono esposti alla mostra romana sul celebre maestro spagnolo, ospitata nello spazio espositivo del Museo del Vittoriano. Centottanta opere realizzate nel ventennio tra il 1917 e il 1937, ognuna diversa dall’altra, testimonianza di come il maestro, all’apice della sua forza creativa, riuscì contemporaneamente ad utilizzare diversi stili: cubista, neoclassicista, surrealista, ed espressionista. Una capacità unica di reinventarsi, che è alla base stessa del titolo dell’esposizione: L’Arlecchino dell’Arte, un gioco dei contrari tipico della Commedia teatrale, una maschera che ogni volta può prendere le sembianze che vuole.
Un omaggio alla nostra terra è l’ opera L’Italiana (1917) che è tornata in patria, eccezionalmente per questa occasione, dopo circa novant’anni. Una rappresentazione unica della “tipica” donna ciociara, un abito di campagna, un cesto e lo sfondo animato dal “cupolone”, una interpretazione dell’Italia secondo gli occhi del maestro.
Gli anni tra le due guerre portarono Picasso oltre che a confrontarsi con diversi stili — infatti si può vedere in delle opere il richiamo manifesto ad alcuni suoi colleghi dell’epoca, Matisse, Magritte, De Chirico —, anche ad indagare diverse tematiche. Proprio questa sua poliedricità artistica rende straordinario l’obiettivo dell’esposizione: mostrare un altro Picasso, non quello che comunemente si conosce: in alcune opere si vede immediatamente la sua mano, l’originalità di visione, la potenza coloristica, la frammentazione delle immagini, mentre in altre, invece, si è completamente spiazzati, spaesati, percependo altre visuali, altre tecniche,  mostranti, più delle altre,  la  genialità di Picasso.
Sicuramente tra le opere che sono esposte in mostra quelle che creano maggior smarrimento sono legate alla fase neoclassica, come L’Arlecchino, del 1917, o Donna che legge del 1920, che non sembrano assolutamente opere del maestro.
Il periodo tra le due guerre fu portatore in Picasso di sentimenti contradditori che hanno condotto a tematiche tra le più varie: lo svago, il desiderio di evasione e di spensieratezza,  il tentativo di guardare avanti e nutrire ottimismo sul futuro. Queste emozioni guidarono la realizzazione di opere come Donna sdraiata sulla spiaggia sotto il sole (1932) o altre immagini di bagnanti che giocano. Altre, invece, sono legate più al suo vissuto, al mondo dell’arte, come Lo Studio (1934), dove c’è un pittore intento a rappresentare una modella nell’atelier.
Straordinaria è la capacità di lavorare in serie su medesimi soggetti, riuscendo però a non fare mai un dipinto uguale all’altro; le nature morte, donne che leggono i libri, realizzate in brevissimo tempo l’una dall’altra, colpiscono perché non mostrano niente di simile tra loro.
La mostra si chiude con immagini legate al dolore, alla sofferenza, al sentimento di oppressione, non solo dovuto alle guerre mondiali, una in via di conclusione e l’altra alle porte, ma anche per la difficile condizione della Spagna alle prese con la guerra civile. Protagoniste assolute sono le straordinarie immagini che anticipano l’esecuzione di una delle opere più celebri del maestro, Guernica: una serie di donne che piangono, manifestanti il dolore e l’angoscia di quel periodo, capaci di veicolare quelle sensazioni, trasmettendo a chi osserva  il turbamento dell’animo.
Questa esposizione dona valore aggiunto alla narrazione e alla conoscenza di uno dei maestri più studiati e, per questo, conosciuti del Novecento, dimostrando come si può e si devono sempre trovare nuovi punti di vista e spunti nel narrare la storia dell’arte.

Serena Cara

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