La promessa del darsi, per il prossimo secolo
L’Amicizia è una poesia che, con i suoi versi lenti e dilatati, si apre senza indugi sul mondo poetico di Giampiero Murgia, già autore della silloge Riflessioni di un Netturbino (Caosfera editore, 2011). Un universo fatto di una materia che conosciamo bene, familiare eppure indescrivibile.
Giampiero Murgia, classe ’56, nasce a Villacidro, in Sardegna. A diciassette anni lascia la sua terra per raggiungere Roma, prima tappa di un ben più lungo peregrinare che lo porterà nel Nord Italia, in Europa, poi per alcuni anni in Brasile. Si reinventa ogni volta, in cerca di qualcosa, di un luogo, del suo posto. Ma per alcuni di noi non esiste un posto, esiste la strada, il mondo, un continuo vagabondaggio, anche interiore. Oggi Murgia è tornato in Italia, a Trieste, apparentemente stanziale, ma ancora in pieno viaggio, seppur di diversa natura.
L’AMICIZIA
Ombre di luci amichevoli accolsero un giorno
di un freddo gennaio,
e gironzolando verso un incontro
si attraccò nel porto di un abbraccio maturo
e privo di falsità.
Tutti i raggi di sole si lasciavano catturare
nella spiaggia dei prossimi dialoghi fraterni.
Al sorgere del giorno ormai si mostrava timido
il sole del nord,
colpiva le colline col calore della sua espressività,
immaginando le valli che circondano il mondo
e lascia cantare la canzone della loro natura,
come le nozze che sigillano la vera promessa del darsi
per il prossimo secolo,
senza che nessun calendario sia stanco
nel giorno del fatidico sì.
Cari soli, stelle e pianeti, entrate a scrutare
l’orizzonte del mio cuore e siatene i custodi
come i secoli custodiscono gli anni,
nella culla dei millenni.
Fate che sia la vita dei mondi lontani
a vedere il grande abbraccio amichevole
senza nessuna parola.
Dopo aver dipinto le impronte di questa purezza,
arma il sensibile senso affettivo
e copri con un pensiero stellato
illuminando i cammini dei prossimi giorni a venire
e dei prossimi ritorni
ed illumina di sapienza i nostri
modesti passi.
E guardaci, come chiunque sia degno
di questo grande abbraccio celeste.
L’uscita dal tunnel…
La poesia è poesia se ha in sé un segreto. È l’urgenza che questo segreto provoca, eppure non è altro da sé. Ungaretti, con la sua erre vibrante e la sua magnifica presenza, disse in un’intervista televisiva che la sua modalità di creazione poetica non è altro che il tormento di un’idea, di un pensiero che gli si presenta alla mente, che preme, scompare, e poi ritorna. Un tormento, così lo ha definito. La poesia è musica, è significato, è certamente anche forma e questa idea che tormenta il poeta, alla fine, insieme alla musica, alla forma, alla parola, diventa qualcosa che può essere chiamato poesia. Che si avvicina all’essenza della poesia, la sfiora.
E allora mi chiedo: se davvero la poesia è questo, quale idea, quale tormento ha ronzato a lungo all’orecchio di Giampiero Murgia. Quale segreto, quale urgenza viene svelata dai suoi versi?
Giampiero Murgia è certamente un uomo che ha vissuto. Un uomo che ha perso delle battaglie, ma ne ha vinte altre; è caduto, ma ha avuto l’ostinazione e la solidità per rialzarsi. Un uomo che appartiene alla terra, che la conosce, la rispetta, la percorre. Un uomo che ha viaggiato tanto, sempre in cerca di qualcosa, seguendo un’inquietudine, un desiderio, un’urgenza. La poesia di Murgia è estremamente evocativa, da ascoltare, quasi più che da leggere.
L’amicizia parte da un’immagine particolare, intensa, coerente. Sembra vederlo, gennaio, incappottato e stanco, accolto dall’abbraccio di un porticciolo, con le barche ormeggiate a dondolare sull’acqua scintillante.
Tutta la poesia è permeata da un calore diffuso, da una luce che, lungi dall’accecare la vista, accompagna lo sguardo in un mondo quasi allegorico, delicatamente equilibrato.�
I versi di Murgia sono estremamente espressivi, carichi di una profonda fiducia nel domani, seppur lontano, seppur incerto.
Tutti i raggi di sole si lasciavano catturare
nella spiaggia dei prossimi dialoghi fraterni.
Il campo semantico a cui Murgia attinge a piene mani è certamente quello sensoriale, sinestetico. La sua poesia percorre la strada tra il particolare e l’universale in entrambi i sensi, mostrando una speciale abilità. Murgia canta sé stesso, la sua vita, e canta allo stesso tempo l’amore, la sua essenza, la promessa di appartenersi per sempre.
e lascia cantare la canzone della loro natura,
come le nozze che sigillano la vera promessa del darsi
per il prossimo secolo,
senza che nessun calendario sia stanco
nel giorno del fatidico sì…
Un rimando al tempo, al passato, al presente, ad ogni presente possibile; un desiderio di universalità, di condivisione.
Cari soli, stelle e pianeti, entrate a scrutare
l’orizzonte del mio cuore e siatene i custodi
come i secoli custodiscono gli anni,
nella culla dei millenni.
Fate che sia la vita dei mondi lontani
a vedere il grande abbraccio amichevole
senza nessuna parola.
Non c’è più separazione tra il passato, il presente, il futuro. Il tempo scorre in entrambe le direzioni e si lancia in profondità, a trivellare il suolo, a penetrare lo spazio, la terra, il cielo, i pianeti, i soli, la vita in altri mondi, in altri tempi, la vita che esiste, seppur muta.
La poesia trascende l’individualità dell’immagine e si trasforma, diventando universale. È una poesia pacata, che si muove per immagini, che mostra la nostalgia di un futuro, la speranza e la fiducia nell’uomo e, infine, in se stesso.
La consapevolezza che nulla ci è dovuto, ma che tutto dobbiamo a noi stessi.
La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori
(A. Merini)
Francesca Pavano