Individuo e realtà: una pace (molto) armata

Matteo Mazzi, emergente poeta faentino, ci porta per mano alla scoperta della sua e della nostra anima contrapposta ad una realtà che l’uomo non è più in grado di controllare e dominare. In un momento di decadenza civile e morale, il canto di questo giovane – di cui TempoVissuto pubblica l’e-book con una raccolta di poesie – ci rassicura e unisce gli animi, spronandoci ad una necessaria ribellione alla schiavitù del “tu devi” kantiano.

La copertina del volume digitale (click per leggere il volume)

Un antico adagio recitava pressappoco così: se vuoi la pace preparati alla guerra.
Benché in senso intenzionalmente metaforico, è questo il principio che ispira gran parte dei componimenti di Matteo Mazzi – del quale pubblichiamo l’e-book con una raccolta di poesie scelte.

Matteo è un giovane faentino, poco più che venticinquenne, che in un caldo giorno di estate capisce, quasi inaspettatamente, che scrivere è come esporre al mondo il proprio cuore fremente.
Se questo è vero, allora poetare è ancora di più. Poetare vuole dire non solo esporre ma anche provare a descrivere il fremere di questo ardente cuore.
Matteo tutto questo lo fa con un candore quasi commovente. Nel momento in cui iniziamo a leggere le sue poesie è come se potessimo avesse questo ragazzo davanti agli occhi mentre, accalorato, lascia affiorare tutte le sue paure, i suoi patimenti, esplora la propria anima in profondità.

Non si nasconde, Matteo. Egli non si cela dietro a parole altisonanti ma inevitabilmente vacue.
Le sue poesie sono semplici, dirette, immediate. Lo stile essenziale, asciutto, pulito, in alcuni tratti ermetico, eleva il pensiero di noi lettori e lo conduce esattamente dove il poeta intendeva condurlo: dentro al suo cuore.
Perché – è evidente – è con il cuore che Matteo scrive. Non c’è affettazione nelle sue parole, non nei suoi pensieri e il ritmo delle poesie si sposa perfettamente con il messaggio che vogliono comunicare.
Tuttavia, non si inganni, il lettore, di fronte a queste nostre parole. Lo stile è stringato, è vero – in certi momenti anche troppo, rendendo il messaggio oscuro e troppo interpretabile – ma i contenuti mai banali.
Matteo affronta temi di grande levatura. Le sue poesie parlano di ribellione alla prigionia etico-morale verso la quale il corrotto mondo che ci siamo costruiti intorno ci ha condotto; ricorrente è il tema della drammatica denuncia della feroce e distruttiva frenesia della vita moderna; l’apparire a tutti i costi visto come unica illusione che resta ad un uomo che non è più in grado di essere padrone della sua vita, pilotato, com’è, da una realtà circostante che non gli permette più una libera e serena espressione dei propri sentimenti.
La visione del mondo di Matteo è chiara; il suo messaggio anche. Il suo è un disperato grido di aiuto e salvazione per sé e di richiamo dell’intera società all’ordine, al ritorno alle origini, alla riscoperta di quei valori che realmente stanno alla base del nostro penoso esistere.
Ragazzi, sembra dirci Matteo, qui tutto va a fondo. Ribelliamoci, svegliamoci da un sogno che sogno non è più. Stiamo vivendo un incubo. L’incubo della schiavitù morale e della prostituzione intellettuale. L’ammorbamento del pensiero è logica conseguenza della finzione che è assurta ad essere unica ragione di vita di una civiltà in decadenza.

Ma ecco che, in questo oceano di depressione, al culmine della carica drammatica di questi concetti, in alcuni componimenti Matteo ci regala attimi di serena positività e lucido ottimismo: la via d’uscita a tutto questo esiste e sta dentro di noi.
Il giovane poeta ci propone di unirci a lui nel cammino verso una più genuina e vivida istintualità primordiale che faccia recuperare quel senso di vita cui l’uomo aspira, come condizione ontologica. Il ritorno alla natura. Ecco qual è il messaggio, soave, lieve, timido ma deciso che Matteo ci dà. Non esiste uomo che non sia in grado di ritornare alla sua condizione originaria, al momento panico nel quale Uomo e Natura – in una favolosa logica rousseauiana – si riscoprono alleati, amici, confidenti. La natura è ristoro. La natura è riposo. La natura è tutto quello da cui arriviamo e che abbiamo voluto dimenticare, alla quale abbiamo voluto voltare le spalle, noi, ingrati.
E la nostra mente non può, quindi, non correre ai momenti di vera disperazione nei quali il poeta ha trovato la via d’uscita nelle bellezze e nelle delizie naturali, nei colli dell’Appennino romagnolo con i suoi dolci e verdi declivi a smussare le sue e le nostre inossidabili paure.

La poesia di Matteo è tutto questo. È forte, decisa, brutale ma, al tempo stesso, ti regala attimi di speranza, messaggi di puro amore. Così come i concetti che esprime, anche lo stile si adegua alla continua alternanza di parallelismi e ossimori, di concetti lineari e stridenti distonie.
Ed è proprio questo continuo e umorale balzellare da una parte all’altra che si esplicita nella poesia tutta ossimorica Pace armata che ci piace prendere come summa del pensiero del poeta: in essa Matteo contrappone il “nostro insaziabile bisogno” ad una “perpetua insoddisfazione”, la mente umana – nata per essere libera – in antitesi agli artifici autodistruttivi che essa si crea.
Ma Matteo non si limita a descrivere. Lui agisce. Lui sceglie. Lui ha già scelto. Lui non accetta di vivere nell’oscurità, nell’oscurantismo, nella mistificazione.
In Sentori Matteo scrive:

Consapevole del tempo corro,
amo,
vivo,
scelgo correndo,
vivo amando.

Lui è pronto a voltare pagina per cominciare a vivere. E noi?

Simone Schmalzbauer

(Matteo Mazzi, Paglia e Sogni, TempoVissuto edizioni, 2011)

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