La Libia alla ricerca di una nuova identità nazionale
Il sanguinoso conflitto che ha portato alla cacciata ed alla morte di Gheddafi: quali le origini e quali le ipotesi per il futuro?
Gheddafi è morto e la nuova Libia è pronta a guardare verso il futuro e a fare i conti con le inevitabili contraddizioni di una guerra civile. Amnesty International nell’agosto 2011 ha denunciato crimini di pulizia etnica, fosse comuni e deportazioni di massa perpetrati a Tawargha, ad una trentina di chilometri a sud-est di Misurata, dove pare vivessero gli squadristi di colore al soldo di Gheddafi. Questi delitti sono opera dei comitati rivoluzionari libici composti per lo più da ragazzini maldestri, la cui età spesso non supera i diciotto anni e a malapena capaci di imbracciare i Kalashnikov che si sono ritrovati tra le mani. Un classico: nel caos le vittime diventano carnefici ed i ruoli si confondono, rendendo tutto più complicato.
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I disordini sono cominciati nella “giornata della collera”, una manifestazione autorizzata contro il regime, convocata per il 17 febbraio e che si è trasformata a Bengasi in una sommossa innescata, pare, dall’arresto dell’avvocato Fathi Tarbal, presidente della commissione dei 1.200 prigionieri che nel 1996 furono massacrati nel carcere di Abu Salim a Tripoli, e che rappresenta anche i familiari delle quattordici vittime della rivolta di Bengasi del 2006. Stando ad alcune fonti locali, già dal 17 febbraio questi comitati rivoluzionari, composti da giovani delle varie tribù della regione, avevano preso il controllo di tutta la parte orientale della Libia, fino a Bengasi, per difendere la popolazione dagli squadroni punitivi di Gheddafi.
Ma da dove sono arrivate le armi dei ribelli? Sostanzialmente dall’esercito regolare composto da membri delle tribù locali che, quando hanno visto arrivare in Cirenaica i mercenari con l’ordine di sparare indiscriminatamente, si sono tolti le uniformi e si sono uniti alla loro gente per difendersi. A quel punto sapevano di aver ormai oltrepassato la linea rossa e di non poter più tornare indietro. Da quel fatidico 17 febbraio, la Libia ha vissuto l’incubo della guerra civile, dei massacri, dell’odio. Se da una parte la spontaneità del movimento lascia sperare in un esito di riconciliazione nazionale, dall’altra induce ad un’allerta per il rischio di infiltrazioni e strumentalizzazioni da parte di gruppi fondamentalisti, che però sembra essere ben chiaro anche a chi cerca di cavalcare la tigre del cambiamento. In arabnews.com del 15 settembre, Michel Cousins ha annunciato una manifestazione per promuovere i tre imprescindibili “no”: no alla centralizzazione, ossia ad uno stato unitario controllato da Tripoli; no ad incarichi nel nuovo governo a personaggi appartenuti alla caduta classe dirigente; no agli opportunisti religiosi e politici che cercano di rubare la rivoluzione. Questa rivoluzione ha le caratteristiche di una spettacolare azione liberatoria, con tutto il sapore dell’ineluttabilità dell’evoluzione naturale di un processo auto-generatosi, senza regie e senza copioni. Già, senza copioni. Forse è proprio questo ciò che sconcerta ma che lascia sperare in un nuovo sentiero per l’Africa del nuovo millennio.
Laura Marsano
Foto: http://www.vectorportal.com
(Artista: Miroslav Havrilov)