La legge contro il dolore
La legge 38 del 15 marzo 2010 che tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, viene oggi considerata la più evoluta in Europa su questo tema; l’Italia da fanalino di coda per il consumo di oppiacei a maestra di governo clinico.
Finalmente il dolore cronico viene riconosciuto dall’“Accademia” come malattia e obbliga i medici alla cura del dolore ma anche a un’attenta sorveglianza e al monitoraggio, inserendo il dolore tra i cinque parametri vitali da valutare quotidianamente negli ospedali.
Il dolore, da sintomo utile in acuto, arma di difesa del nostro organismo e fondamentale ausilio diagnostico, diventa sofferenza inutile quando si fa cronico, con ripercussione su tutto il corpo e le sue funzioni, incide sulla mente determinando perdita di stima, ansia e depressione, scadimento della qualità della vita.
Considerato sempre con distacco e riverenza da parte dei clinici, è stato utilizzato come sintomo per far “belle diagnosi” e restituito al paziente con tutto il peso della certezza di una malattia spesso grave; il diritto a non soffrire negli ospedali non veniva contemplato. L’integrità stessa dell’intelligenza e la morale compromesse.
15 milioni di italiani oggi soffrono di dolore cronico: casalinghe, anziani e 11.000 bambini; questo quanto riportato dal sondaggio Pain in Europe Survey del 2005. Allora, l’Italia era terzultima con un consumo di farmaci oppiacei (considerati dall’OMS i farmaci più efficaci per combattere il dolore) 110 volte inferiore alla Danimarca, 35 alla Germania e 13 alla Francia.
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Pregiudizi e falsi miti sugli oppiacei hanno rappresentato un ostacolo alla prescrizione dei farmaci; la paura degli effetti collaterali, della dipendenza, del fatto che potessero indurre alterazioni cognitive e comportamentali o depressione respiratoria. Ora, a distanza di un anno dall’applicazione della legge, c’è stato un incremento delle prescrizioni, raddoppiato rispetto a 5 anni fa. La nuova legislazione prevede, nel triennio 2010-2012, percorsi di formazione capillare di tutti gli operatori sanitari, per un buon uso della prescrizione dei farmaci e un’attenzione alla gestione clinica del dolore, dalla richiesta di primo bisogno alla pianificazione di una strategia più complessa. La creazione di una rete di supporto che va dalla continuità assistenziale post ospedaliera, ambulatoriale e domiciliare, alle cure palliative, ai centri di alta specializzazione per il trattamento del dolore con tecniche invasive, fino all’Hospice dedicato ai pazienti terminali; un modello di gestione e governo clinico all’avanguardia in Europa se riuscirà a realizzare quanto pianificato.
Una rete di informazione per i cittadini è già in movimento per quanto riguarda le modalità di accesso alle prestazioni e i percorsi di cura. In tutte le unità operative degli ospedali il dolore sarà misurato quotidianamente e monitorato, e assicurata la giusta cura. Un approccio di tipo biopsicosociale permetterà di valutare il dolore nei suoi aspetti di compromissione somatica, coinvolgimento affettivo e relazionale e in quelli sociali, occupazionali e familiari. Alla fine, percepiamo che c’è un ampio piano terapeutico per la gente sofferente, con l’obiettivo di far capire che la famiglia e il mondo esterno hanno ancora bisogno di loro e si stanno adattando, guidati da mani di professionisti preparati, per accoglierli nuovamente.
Piero Giordano
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