Camminare sul profilo dell’Oceano Pacifico
Sette chilometri separano Sydney dalle sue spiagge più note. Dove la natura è protetta, rispettata e vive secondo il suo ritmo libero: quello del vento, del sole e del surf. In un percorso da scoprire senza fretta. (Foto: © Beatrice Sartini)
Chiuse le porte alle mie spalle, il bus torna a scorrazzare tra i grattacieli del centro città. Abbandonata sul lungomare, scorro rapidamente i souvenir e gli articoli beachwear, ambientandomi nella sensazione vintage profusa dai palazzi anni venti e dai caffè all’aperto.
Sydney non è una di quelle città da cui desideri fuggire, perché sa essere allegra quanto rilassante, offrendoti ovunque la mano della sua natura da stringere. Ora avverto però una pace speciale: forse è l’odore pulito del mattino, che profuma la sorpresa di un abbraccio molto più caldo di quello che avevo immaginato mi sarebbe stato concesso in fine agosto, cioè fine inverno, da questa costa sull’Oceano Pacifico. In pochi passi sono seduta sulla sabbia, mentre le indicazioni dei cartelli mi convincono che sia davvero lei. Stamattina Bondi beach è rilassante, raccolta e discreta, così lontana dalle descrizioni lette nella mia guida di viaggio e dal raccontare collettivo della sua celebrità tra le spiagge del pianeta.
Proprio qui ha avuto origine il primo punto di assistenza ai bagnanti al mondo, che dal 1906 ha tirato fuori da queste pericolose onde e correnti di ritorno marine migliaia di vite che, oggi come allora, si lasciano affascinare dal body surfing. Un giovane strizzato nella muta gommosa abbraccia la sua lunga tavola, scortandola per adagiarla sulla sabbia: vestendola di cera, la massaggia con la cura che una madre riserva al suo neonato. Ultimato il suo discorso muto col mare, corre scomparendo nella schiuma per riemergere vicino ai suoi compagni.
Palpata quella consistenza granellosa ma soffice, spolvero via i resti dorati per infilare i piedi nelle scarpe e partire per la Eastern Beaches Coastal Walk. Il sentiero, che si inserisce discretamente nella bellezza che lo circonda, mi porterà in circa un’ora a Bronte beach. Il cammino è agevole e, nei punti più pericolosi, una ringhiera di legno mi protegge dal rischio di precipitare nel luccichio sotto di me. Arrampicata tra l’oceano e la cima delle scogliere di arenaria, percorro con le mani i decori che vento e mare hanno realizzato con pazienza, allestendo una nutrita galleria di rocciose opere d’arte. Il freddo e la compattezza che ritornano nel palmo della mia mano curiosa, mi assicurano che non sono circondata da un mondo di marzapane, nemmeno nei punti in cui la roccia diviene un curvilineo ricamo. In quest’atmosfera sfumata di bianco e grigio, fa capolino la colorata allegria di simpatici fiori fucsia dalle foglie turgide.
“Sei su un mondo da esplorare”, mi suggerisce uno dei numerosi punti informativi che incontro lungo il percorso, invitandomi a rispettare l’incredibile varietà di vita marina tra cui granchi, ricci e stelle marine, che vivono protetti e cullati tra l’alta e la bassa marea del litorale. Se mi potessi immergere, nella miriade di pesci potrei incontrare anche il Blue Groper, simbolo nazionale del New South Wales, che riconoscerei dalle grandi labbra carnose. Affascinata da alcuni tratti incisi nelle pietre, penso a quanto sia incredibile vedere ancora traccia concreta degli aborigeni, che mossero i primi passi umani dove anche io oggi sto camminando.
Prossima alla seconda delle tre spiagge del percorso, incontro alcuni esseri solitari. Al primo, lucertolone inatteso che gusta il sole indisturbato, affretto il passo scossa da brividi di ribrezzo e timore. Ai seguenti devo invece fermarmi, per osservarli discretamente alle loro spalle. L’anziano pesca pazientemente, mentre la giovane è concentrata nella lettura: entrambi sono catturati e assorti, nella pace di quel vento e dell’azzurro che li isola dal resto, seduti senza paura ad un passo dal blu profondo.
Un particolare delle rocce di arenaria, scolpite dal vento e dall’acqua, nelle loro fantasiose forme e sfumature.Giunta a Tamarama beach, nome che deriva dall’aborigeno gamma gamma, cioè tempesta, girovago attorno ai pochi bagnanti intenti a rubare il sole sulla sabbia bianchissima e proseguo, inseguendo altri cavalcatori di onde che solcano traiettorie improvvise in questa seconda baia, finché scorgo Bronte beach. Seduta nel parco attrezzato a ridosso della spiaggia, come le tante famiglie che dal 1887 gustano una pausa dal sole della loro giornata al mare, soffiando sul mio cartoccio di fish and chips ancora bollente, fermo i ricordi di questa piacevole passeggiata.
Poco distanti, dei giovani schizzano fuori dall’acqua e, sfilata la muta, saltellano sciogliendo la salsedine sotto la doccia gelata. Ad attendermi adesso c’è un’altra ora di cammino, dove scoprirò la prospettiva inversa del percorso.
Beatrice Sartini