
Un viaggio, due ruote, tre città: la Germania in bici
Lungo i percorsi di tre città della Germania, in bici si scopre una realtà che sorride, lontana dai soliti luoghi comuni. Si gustano il tempo e lo spazio, l’ordine e l’allegria di una cultura precisa, puntuale e rispettosa del proprio ambiente naturale e urbano. (Foto: © Beatrice Sartini)

Il bel Alte Oper di Francoforte, esempio di antico che si sposa benissimo con la modernità delle altre costruzioni della città
Scarpe sportive, jeans, felpa, zaino… tutto è pronto. Destinazione: Germania, in bici.
O meglio, auto con bici al seguito. Eh sì, perché mille chilometri mi separano dalla prima tappa – Monaco – e non mi sembra il caso. E poi si sa, le piste ciclabili del Bel Paese non sono un granché. Bisogna fare attenzione alle auto padrone della strada che, quando ci sono, ignorano gli attraversamenti ciclabili, o, peggio ancora, troppo spesso condividono la carreggiata con i ciclisti.
La Germania mi preoccupa un po’: così tante volte ho sentito dire che i tedeschi sono un popolo chiuso, che già me li immagino sfrecciare in bici col caschetto, per non sforare di un minuto l’appuntamento a cui si stanno recando, forse, senza curarsi di altro.
In realtà, mi sembrano alquanto curiosi: la mia bici pieghevole è lusingata dagli sguardi dei passanti che, numerosi, la osservano, mentre la monto in poche mosse sul marciapiede.

La luce calda del tramonto si avvicina, esaltando i colori brillanti di una casa a graticcio a Romemberg, cuore di Francoforte
Partita. Subito mi raggiunge una sensazione di libertà: forse perché non so bene dove sto andando – tutto attorno mi è sconosciuto – ma so di potermi affidare ai suggerimenti della segnaletica dedicata sul percorso ciclabile e, visto che qualcun altro sta pensando a me, io posso godermi il respiro libero di una semplice quanto speciale passeggiata in bici. Pedalo attorno a Gartner Platz, proseguo su Frauen Strasse e raggiungendo l’Altstad (centro storico) arrivo a Marien Platz, giusto in tempo per lo spettacolo che si muove sul Glockenspiel, ilcampanile sulla facciata principale del Neus Rathaus, il municipio. La bici è accanto a me, mentre le note del carillon ammutoliscono la piazza gremita di gente, intenta a seguire le figure meccaniche che ripropongono il ballo dei bottai per scongiurare la peste, e un famoso matrimonio celebrato nella piazza nel 1568.
Presto pronta per salire in sella, riparto, e, avendo girovagato per tutto il centro, mi accorgo che nella mia mente saltellano nuovi simpatici ingressi: bitte, touristen, geöffnet, täghlich, frei, danke, semplici parole in tedesco che ho già fatto mie, grazie alle indicazioni guida lungo il percorso ciclabile, ma anche alla possibilità di leggere le scritte che mi circondano favorita dall’andatura quieta del pedalare senza fretta. Mi infilo dentro il bel Englisher Garten e superata la Chinesischer Turm, torre cinese a forma di pagoda, raggiungo i tavoli ampi del bier garten per una rigenerante pausa d’obbligo. Gli occhi chiari di una donna dai capelli bianchi mi guardano sorridenti, e si chiudono per assaporare i raggi caldi di metà agosto sul viso. Le anatre scivolano piccole e leggere sull’acqua; i granelli di sale del mio grande brezel mi aiutano a sentire la sete per finire l’enorme birra. Lo ammetto, non sono allenata come i miei compagni di tavolo, riempito di boccali vuoti, che chiacchierano rilassati in attesa del tramonto.
Saluto la Baviera e salgo verso la regione dell’Assia. Alloggiata a una decina di chilometri dal centro, posso testare ancora meglio le capacità della mia piccola bici e la qualità dei collegamenti tra periferia e città.
Non credevo che il Meno fosse così ampio e, soprattutto, così vivo… ci scivola sopra di tutto: chiatte trainate e cariche di merci, battelli, canoe dove giovani muscolosi si allenano in sincronia, anatre in fila – loro sì che sono rigorosamente tedesche! – e bei cigni bianchi. La gente distesa sul lungo fiume si crogiola sotto i raggi alti del sole, con la pelle arrossata, senza muoversi di una virgola dai teli colorati stesi in ogni angolo libero sul prato. Qualcuno legge un bel libro sgranocchiando un frutto. Il percorso alberato che sovrasta il mio andare lo rende gradevolmente fresco, tra prati profumati di taglio e i colori dei fiori spontanei, in un divenire pieno di stimoli naturali che ricongiungono la mia interiorità all’ambiente, mano discreta che sembra proteggermi.
Meritatissimo il titolo di Manhattan europea. Col naso all’insù, cerco di afferrare invano la testa dei grattacieli, che rispecchiano nei vetri azzurri la piccola immagine di me, in Germania in bici: oltre che divertente, è di certo non abituale per me scorrazzare in bicicletta tra i palazzi altissimi di una metropoli. Creature che ogni volta mi ricordano che il mondo è un infinito di possibilità, così come l’ingegno dell’uomo, che da una buona amministrazione delle proprie abilità può originare oggetti utili o anche semplicemente spettacolari. Pur nel ritmo sostenuto della grande città, le due ruote a pedali sono sempre protette dal correre delle auto, ma essenziale è rimanere in fila, per agevolare i sorpassi delle biciclette che sfrecciano per non fare tardi, a giudicare dalla velocità, neppure un secondo, e suonano impietose a chiunque occupi la “traiettoria di lancio” sul loro cammino.
Inizia proprio a piacermi quest’ordine: crea possibilità per tutti e rispetta ogni esigenza di viaggio.
Oltre uno dei bei ponti storici in ferro, accedo in pieno Altstad. Lasciati i grandi viali, posso gustare il cuore della vecchia Francoforte che batte a Romemberg, ampia piazza di forma irregolare dove delle giovani festeggiano un addio al nubilato e un musicista suona indisturbato la sua tromba, tra gli edifici a graticcio ricostruiti con materiali tradizionali dopo la seconda guerra mondiale. La mia piccola compagna di viaggio mi attende legata a una rastrelliera intelligente: posizionata in verticale, evita di doversi piegare a terra e soprattutto non regala quel brutto nero polveroso della ruota mentre la si assicura con il lucchetto. Sì, perché domani dovrà portarmi ancora in giro.
Sulle strade di Ulm, lungo il Danubio, nella regione del Baden-Württemberg, per l’ultima tappa di questo viaggio slow, ma non troppo. Piccolo gioiello, dove le storiche case di traghettatori e pescatori a Fischer-Viertel si lasciano ammirare in fila dalla pista ciclabile e, passando per vicoli sempre più stretti, sfociano nella piazza centrale che ospita il bellissimo Rathaus. Una cittadina fiabesca, ordinata ma non rigida, precisa ma vivace, nella vita pomeridiana dello shopping rallegrato dagli spettacoli degli artisti di strada, e mattutina del mercato all’aperto, tra le immancabili patate, i toni intensi di mirtilli violacei e il fumo dei würst bollenti arrostiti lungo la strada fino a sera.

Lo stile gotico-rinascimentale e i racconti preziosi delle pitture murali del Rathaus di Ulm risvegliano e riscaldano la città in un mattino nuvoloso
Sono dei “grandi conservatori”, questi tedeschi: conservano con cura la bellezza delle loro città. Le vivono, con rispetto, per loro e per gli altri. Che si aspettino altrettanto dai visitatori?
Decisamente sì, e forse proprio per questo hanno tessuto una rete di migliaia di chilometri di piste ciclabili, disponibile e funzionale collegamento in tutto il Paese.
Certo, io ne avrò percorse meno di un centinaio, in un’esperienza economica ed ecologica. Scelta che mi ha regalato energia e tempo per osservare, oltre a un bel paio di scarpe.
Un po’ particolari, devo ammetterlo, molto tedesche. Ma non vedo l’ora di infilarle per pedalare, un po’ più ordinata, sulle nostre strade caotiche.
Beatrice Sartini