
La cultura della rinascita: il patrimonio artistico italiano e le proposte del Ministero
Le nuove proposte lanciate dalla commissione del Mibact invitano storici dell’arte, archeologi, operatori della cultura a studiare forme pratiche di associazione e di mecenatismo.
Il presente momento storico di inquietudine sociale e di ristrettezza economica vede una conseguente ristrettezza nel settore dei Beni Culturali. Non servirebbe ampliare il catalogo delle opere d’arte e architettoniche che necessitano di un intervento tempestivo di recupero che in alcuni casi si trasformerebbe in un vero salvataggio. In un articolo pubblicato sulla versione elettronica de Il fatto quotidiano vengono analizzati in modo dettagliato alcuni dati relativi al patrimonio artistico italiano. Nello specifico, secondo dati Eurostat, è interessante rilevare come l’Italia nel 2011 abbia destinato alla cultura solamente l’1,1% della spesa totale, al contrario di altri Paesi europei, come la Germania (1,8%), la Francia (2,5%) e la Spagna (3,3%), e questo nonostante l’Italia vanti la più alta concentrazione di beni artistici e di siti tutelati dall’Unesco (per l’esattezza 49).
Non mancano però segnali incoraggianti, come vari esempi positivi attivi sul territorio – rappresentati da realtà associative come Amici dei Musei. Inoltre, lo scorso 5 novembre sono stati presentati ufficialmente i lavori per la riforma della Commissione per il rilancio dei Beni Culturali.
Nell’insieme delle proposte avanzate, quella forse più innovativa è rappresentata dall’idea di immaginare una formidabile rinascita del nostro territorio che passi anche dalla creazione di nuove forme di aggregazione sociale e culturale. Queste forme, così come sono pensate dalla Commissione, si dovrebbero affiancare alle associazioni e ai club sociali di vario tipo e finalità già esistenti, il cui impegno si scontra con le inefficienze di numerosi enti pubblici preposti alla tutela e gestione del patrimonio artistico italiano, spesso ostacolati da un’insormontabile penuria di risorse.
Ma oltre all’impegno del Ministero e della Commissione, da parte di tutti coloro che si definiscono operatori culturali dovrebbe essere messa in campo una capacità pragmatica per individuare forme concrete (giuridiche ed economiche) grazie alle quali realizzare un inedito esperimento di rilancio del patrimonio culturale italiano. Questa filosofia considera le nostre ricchezze artistiche e naturalistiche non soltanto marchio prestigioso della millenaria eredità culturale del Paese, ma anche la fonte generatrice di una ricchezza immateriale.
Una cattiva o scarsa gestione del patrimonio artistico italiano può essere vissuta di questi tempi anche come una sorta di damnatio memoriae. Se, infatti, nell’antichità poteva avvenire che alcuni personaggi fossero oggetto di una sorta di cancellazione di tutto ciò che li raffigurava o parlava di loro, eliminandone così il ricordo, forse una scarsa attenzione da parte di noi uomini moderni agli splendori della nostra antichità, più o meno recente, può essere considerata al pari di un annientamento della nostra identità, della nostra cultura. Inoltre, come se non bastasse, si trascura la relazione che intercorre tra l’attuale stato del nostro patrimonio artistico e paesaggistico, e un complesso insieme di fenomeni di portata sociologica, come lo sfaldamento dei legami sociali, la nevrotica assimilazione dei modi di vivere delle province minori ai ritmi frenetici importati dai grandi centri, e tutto ciò deriva da un progressivo e pericoloso oblio della nostra memoria storica. Il senso di alienazione urbana e di qualunquismo estetico che trasmettono molte nostre città sono alcune tra le altre conseguenze che tali fenomeni comportano.
Tornando a riflettere sugli operatori della cultura, il loro vero compito dovrebbe essere quello di intercettare e coordinare professionisti ed esperti capaci di agire sul piano legislativo con le loro proposte riformatrici. A loro è richiesto inoltre di unire all’alto grado di avanzamento scientifico la capacità carismatica di avvicinare alla conoscenza del patrimonio la collettività intera.
Gli studi rivolti al nostro patrimonio artistico condividono lo stesso rigore metodologico di molte altre discipline scientifiche; inoltre, si collegano a tre importanti funzioni peculiari, dall’alto profilo civile, sulle quali già si esprime l’attuale legislazione: tutela, valorizzazione e fruizione. Questi tre obiettivi finali rivelano l’esigenza umanistica di un dialogo ampio e interculturale con il pubblico di utenti non specialisti.
Gli storici dell’arte, quindi, dovrebbero liberarsi dai rigidi confinamenti autoreferenziali e da ogni forma di inutile orgoglio elitario in cui talvolta rischiano di sconfinare perdendo di vista tutti i loro potenziali interlocutori, soprattutto i giovani. Il momento che stiamo vivendo richiede delle figure eclettiche e dinamiche; dovrebbero quindi essere capaci di trasformarsi da accademici in nuovi militanti della tutela del nostro patrimonio e del progresso civile.
Ci auguriamo perciò che, al processo di acculturazione omologante e livellatrice che investe ogni aspetto della vita, si sostituisca la fiducia nella possibilità di un reale cambiamento.
Marco Cesareo