Intervista alla Professoressa Chiara Frugoni
Chiara Frugoni, figlia di un altro grande medievista, Arsenio Frugoni, professoressa di storia medievale all’università di Pisa e all’università “La Sapienza” di Roma, si è già occupata dell’opera di Giotto ad Assisi, a partire dal volume, scritto in collaborazione con Bruno Zanardi e con l’introduzione di Federico Zeri, Il cantiere di Giotto. Le storie di san Francesco ad Assisi, (Skira, Milano 1996), di cui la Frugoni curava in particolare le note storico-iconografiche.
Professoressa Frugoni, la scoperta di questo volto demoniaco ci dovrebbe indurre a reinterpretare il significato complessivo degli affreschi di Assisi? Se sì, in che modo?
No. Resta ora di collocare questa figura all’interno della scena e scoprirne le varie connessioni. Direi, invece, a questo proposito che Il fatto più rilevante è che finora si è creduto che il primo a manipolare le nuvole fosse stato Mantegna nel suo San Sebastiano (dipinto all’incirca nel 1457, visibile al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ndr), ma ora dobbiamo riportare questo primato a Giotto e retrodatarlo di oltre un secolo.
Perché a suo giudizio non sarebbe fondata la tesi di alcuni critici come Sgarbi (intervenuto sulla questione in un recente articolo), i quali negano che l’autore degli affreschi abbia voluto rappresentare questo soggetto mimetizzandolo tra le nubi?
Sinceramente, la tesi di Sgarbi credo che contenga alcune inesattezze. Mi pare che nell’articolo a cui lei si riferisce, Sgarbi sostenga che quel volto sia stato realizzato successivamente, ma questa tesi non pare avere fondamento. Dal punto di vista che riguarda strettamente l’esecuzione tecnica dell’affresco, Sergio Fusetti (capo restauratore della basilica di San Francesco, ndr) mi conferma che il ritratto del demone è coevo alla realizzazione degli affreschi, e non può essere perciò un’aggiunta successiva. L’altra obiezione era che non sussiste alcuna ragione logica che giustifichi una tale raffigurazione in quel punto. Un sostegno alla mia interpretazione lo si trova anche in una lettera di San Paolo in cui si parla della presenza di demoni nel cielo.
La scoperta di questo volto può fornirci elementi utili a chiarire il problema dell’attribuzione al solo Giotto degli affreschi di Assisi, su cui gli studiosi sono tuttora in disaccordo, circa il ruolo da attribuire ai vari collaboratori di bottega?
In realtà, la questione delle attribuzioni è un problema mal posto. Piuttosto bisognerebbe impostare la discussione in questi termini: è un dato inconfutabile che in un ciclo di affreschi di quelle dimensioni vi abbiano collaborato vari aiuti, i quali fornendo il loro contribuito, come era normale nei cantieri di quell’epoca, abbiano personalizzato le tecniche ed eseguito i particolari in modo diverso. Ciò spiegherebbe la ragione della presenza di evidenti divergenze nell’esecuzione degli affreschi, dietro cui si intravedono personalità artistiche di diverso livello; ma l’impostazione generale dell’opera è sicuramente unitaria, ed essa la si deve a Giotto, il quale avrebbe eseguito il progetto e i disegni preparatori servendosi della collaborazione degli aiuti soprattutto per la realizzazione dei particolari.
La notevole divergenza stilistica riscontrabile tra il demone in questione, così individuato nei suoi tratti, e le altre rappresentazioni dello stesso soggetto nell’opera di Giotto, può indurci ragionevolmente a supporre che quel ritratto sia stato realizzato da un diverso artista?
No, non direi. Semmai bisogna indagare la ragione per cui l’artista abbia dato in questo caso una raffigurazione diversa rispetto alle altre. Una diversa impostazione stilistica non deve necessariamente farci pensare che sia stato necessariamente un artista diverso ad eseguirla.
Le differenze sono evidenti tra questo ritratto e le altre rappresentazioni di diavoli nelle altre scene degli affreschi. In questo caso vediamo un demone dagli occhi chiusi e quasi dormiente. Inoltre osservi anche un altro dato: questo ritratto ricorda, nelle fattezze, quello di un frate che compare nella stessa scena. Con ciò non intendo affermare, sia chiaro, che ad esservi rappresentato è quel frate. C’è ancora un significato nascosto da chiarire, ed è su di esso che adesso lavoreremo.
Ora non resta che esaminare su quali elementi si fonderanno i prossimi approfondimenti sull’argomento?
La mia impostazione si fonda soprattutto sul collegare le iconografie ai testi, ed è su di essi che concentrerò le mie prossime analisi; è auspicabile che anche gli storici dell’arte diano il loro contributo in quest’opera di chiarificazione.
Marco Cesareo