“IllumiNazioni” alla 54° Biennale di Venezia: polisemia di un evento

Dall’idea di “luce” a quella di “identità nazionale”, fino al senso di “rivelazione” della realtà: sono alcune delle chiavi di lettura proposte dalla curatrice Bice Curiger per la 54° Esposizione Internazionale d’Arte, in mostra fino al 27 novembre nelle storiche sedi dei Giardini di Castello e dell’Arsenale.

 

Chi visita la Biennale nell’anno di “IllumiNazioni”, ancora in mostra fino al 27 novembre, viene subito catturato, non solo metaforicamente, dalla fitta rete di pennoni spogli (Fantasia, 2008), opera della marocchina Latífa Echakhch, che campeggiano lungo il sentiero d’ingresso al Padiglione Centrale ai Giardini: un invito a liberarsi della definizione tradizionale, ottocentesca, del concetto di “nazione” per sperimentare attraverso l’arte nuove forme di “comunità”. Non a caso, mettendo in rilievo il finto suffisso “nazioni”, il titolo della 54° Esposizione Internazionale d’Arte evoca, da una parte, la presenza peculiare alla Biennale dei padiglioni nazionali, che quest’anno ospitano 89 paesi stranieri, dall’altra l’idea di identità nazionale su cui la curatrice Bice Curiger ha invitato a riflettere gli 83 artisti internazionali in mostra, ponendo a tutti cinque domande: la comunità artistica è una nazione? Quante nazioni ci sono dentro di lei? Dove si sente a casa? Che lingua parlerà il futuro? Se l’arte fosse uno stato, cosa direbbe la sua costituzione? All’identità nazionale italiana Karl Holmqvist dedica un modello in scala del Palazzo della Civiltà Italiana di Roma, meglio noto come “Colosseo quadrato”,  la cui celebre epigrafe («un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori») rivela il profondo stato di crisi in cui oggi versa l’identità del popolo italiano.
Ma “IllumiNazioni” vuol dire per la Curiger anzitutto “luce”, tema classico nell’arte strettamente legato a Venezia; proprio il Tintoretto, pittore della luce, è stato scelto quest’anno tra i grandi maestri del Cinquecento veneziano per la forza sperimentale e assolutamente “anticlassica” delle sue opere, che suscitarono grande scalpore tra i suoi contemporanei.

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Le tre opere esposte nella sala grande del Padiglione Centrale (L’Ultima Cena, Il Trafugamento del corpo di san Marco e La Creazione degli Animali) si pongono così in stridente contrasto, ma anche in ideale continuità, con il contesto attuale del percorso espositivo in cui sono inserite. Alcuni artisti citano direttamente il Tintoretto nelle loro opere, come ad esempio Monica Bonvicini, che nell’installazione creata per l’Arsenale si è ispirata all’ampia scalinata della Presentazione della Vergine; anche Urs Fischer ammicca alla grande storia dell’arte riproducendo la celebre scultura del Giambologna, Il Ratto delle Sabine, sotto forma di una colossale candela, affinché bruci lentamente nel corso dell’esposizione e nel suo destino di annientamento rappresenti un eloquente monito alla nostra transitorietà su questa terra, compresa quella dell’arte.
Senza dimenticare che “IllumiNazioni” non può che alludere anche a quella “rivelazione” della realtà che è insita nell’arte stessa: cosa “rivela” l’arte a ciascuno di noi? Per il Presidente della Biennale, Paolo Baratta, la risposta è in quel «grande pellegrinaggio che ogni visitatore compie alla Biennale, dove nelle opere degli artisti e nel lavoro dei curatori si incontrano le voci del mondo che ci parlano del loro e del nostro futuro».

Carmela Bafumi

Foto di Carmela Bafumi – Karl Holmqvist, untitled (Memorial), 2011

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