Il tesoro della roccia lucana
Le pitture rupestri in basilicata
Le pitture rupestri in basilicata fanno parte di un’antica tradizione pittorica. Alcune di questi piccoli capolavori sono inseriti tra minuscole cavità della roccia. Fra queste ricordiamo l’ingresso di Pietrapertosa.
La prima pittura, cavità di forma rettangolare, raffigura la Vergine con il Bambino che sovrasta un coro di Angeli. La seconda, tonda, raffigura San Francesco affiancato da Roberto il Buono, antico Signore di Pietrapertosa.
L’affresco inscritto in un tondo illustra un fatto realmente accaduto :Roberto, signore Normanno, donò al Clero una roccaforte di Pietrapertosa, che divenne la attuale Chiesa di San Francesco.
Un’ulteriore testimonianza della donazione è rinvenibile in un affresco posto nella chiesa di San Francesco del 1300 di scuola umbro-marchigiana, rimaneggiato nel ‘700, in cui sono raffigurati Roberto il Buono con a destra il fratello Guglielmo e, al centro, la Madonna con il Bambino. Nel tondo che perimetra la pittura, ai piedi del Santo, è posta una iscrizione recante il nome di Nicolaus Sottarelli, mentre alla base di entrambe le pitture si legge la data 1939.
Dal punto di vista esecutivo si rileva una tecnica molto elementare, di gusto popolare evidenziato anche dall’uso di essenziali e semplici toni di colore. Un altro tipico esempio di pittura rupestre si può ammirare nella chiesa di Santa Margherita, a breve distanza da Melfi. Tutta scavata nella roccia, era ridotta ad una fatiscente stalla, prima che la Soprintendenza (per il Bruzio e la Lucania con sede a Reggio Calabria), intervenisse per farla restaurare. La parte destra della volta è occupata da un affresco inquietante (cappella di S. Michele), per la presenza di due orribili scheletri bianchi deformi col ventre aperto, segnato da una macchia bruna in cui brulicano piccoli punti bianchi, imitanti i vermi della putrefazione. Entrambi stendono le mani stecchite e le braccia verso alcune figure alla loro destra. La loro particolarità mostruosa è la testa. I due teschi enormi sono di mezzo profilo, identici. Una bocca enorme, guarnita di denti grossi e fitti, quali zanne, s’apre sotto il naso quasi per toccare, con lungo tratto, la colonna vertebrale: i teschi hanno un sol occhio rotondo e sono di un grigio biancastro su fondo verde scuro. Uno di essi tocca quasi con la mano distesa una figura ammantata di rosso, dai grandi occhi rotondi e dal volto lungo che sostiene sulla mano destra un falco. L’affresco, che rappresenta il Contrasto dei vivi e dei morti, può essere considerato tra le più curiose ed affascinanti rappresentazioni della pittura medievale.
La chiesa rupestre di S. Margherita ha un impianto architettonico a croce latina con volte a crociera. Esaminiamo le altre rappresentazioni affrescate sulle pareti;
Sulla parete absidale troviamo l’immagine di S. Margherita con ai due lati un tabellone a riquadri dove si narra la sua storia. Sull’arcone absidale spiccano i simboli degli Evangelisti; sempre nell’abside, arcone compreso, si possono individuare le figure di S. Pietro, di S. Paolo e di S. Nicola. Sulla parete sinistra della navata si notano le immagini di S. Lucia e di S. Caterina d’Alessandria, mentre sulla parete destra e nella cappella a destra dell’ingresso sono raffigurati i martirii di S. Lorenzo, di S. Stefano e di S. Andrea.
Nella cappella a sinistra dell’ingresso, dedicata a S. Michele, troviamo affrescati Cristo in trono, lo stesso S. Michele Arcangelo, una Madonna in trono col Bambino ed infine il Contrasto dei vivi e dei morti sopracitato. Gli artefici di questi cicli di affreschi si possono identificare in almeno due o tre autori: uno di gusto bizantino presente nel ciclo di S. Margherita e degli altri Santi; un altro la cui mano è evidente nella cappella di S. Michele, compreso il Contrasto dei vivi e dei morti, ed un terzo, che potremo chiamare per comodità il maestro dei tre martirii, appartenente alla pittura medievale catalana. Se in questo contesto si parla della chiesa di S. Margherita non bisogna dimenticare di far menzione a Melfi della cappella della Madonna delle Spinelle e di S. Lucia in contrada Giaconelli.
Questi affreschi hanno rappresentato un complicato problema per la tutela ed il restauro, in quanto la chiesa grotta di S. Margherita è posta al di sotto (circa 2 metri) del piano stradale della statale che congiunge Melfi a Rapolla.
Questa ubicazione, con il conseguente scolo delle acque piovane ed infiltrazione di vene acquifere, costituì il problema principale per la buona conservazione del ciclo degli affreschi.
Le pitture murali per l’elevato tasso di umidità erano coperte di muffe, con conseguenti fuoriuscite di sali dalle pareti. Inoltre la luce che filtrava dall’ingresso della chiesa provocava la comparsa di licheni, che intaccarono gravemente le superfici dipinte.
Dal 1930, anno in cui fu effettuato un primo intervento scientifico di pulitura dell’interno e delle superfici affrescate, il problema della conservazione si è andato aggravando sino a rendere necessario, negli anni ottanta, un tentativo, effettuato dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Matera, mirante a ridurre il tasso di umidità della grotta attraverso un complesso scavo, fatto a monte di questa e interessante anche il piano stradale.
Nel 1996, la Soprintendenza B.A.S. di Matera decideva un nuovo intervento più radicale, che fu affidato alla Ditta GER.SO di Rimini. La conservazione e la tutela di questo ciclo di affreschi ha rappresentato un passo importante per la conservazione della pittura rupestre in Basilicata che è tornata al suo antico splendore. Le metodologie adottate, peraltro impegnative ed assai costose, possano essere da esempio per restauri analoghi, non solo in Basilicata, ma anche in altre regioni d’Italia.
Loredana Rizzo