“Il mio? È un lavoro notturno…”

Un’intervista? A me? Ma perché? Nessuno mi aveva mai considerato prima… In tanti si appoggiano a me per diversi motivi, con innumerevoli stati d’animo diversi, ma mai qualcuno si è preoccupato per me, di ciò che sento o penso, di ciò che desidero.
È strano essere tanto importanti per la gente ma non esserne considerati: mi sfruttano ma m’ignorano… Il mio lavoro? Vuoi che te ne parli? Be’, il mio è un lavoro prevalentemente notturno, anche se durante il giorno, quando mi riposo, non mi sposto dal luogo in cui opero. Sì, esatto, la mia vita è piuttosto sedentaria! Di certo un medico non mi elogerebbe! A dirla tutta, però, posso vantarmi di esser proprio un bel figurino! Ok, hai ragione, non divaghiamo… È la prima volta che percorri questi luoghi? Sì? In effetti questa è una terra di passaggio, di transito, sono pochi coloro che vi prendono posto e vi rimangono.
Comunque, ti dirò qualcosa che forse ti sorprenderà: nonostante la mia staticità, posso affermare di averne viste proprio di tutti i colori. Anche di qui passa la vita, non è necessario andare in capo al mondo per vederla. Certo, anche a me piacerebbe spostarmi, vedere cose nuove, conoscere altri modi di vivere, ma non mi è possibile; così tento di trovare ciò che cerco anche nel conosciuto, nel già visto; non è facile, talvolta non raggiungo il mio scopo, ma mi alleno giorno per giorno, e sempre scopro nuovi particolari, ed è vero che non si finisce mai d’imparare.
Bisogna immaginare, stare attenti e, soprattutto, non dare nulla per scontato, non chiudere né mente, né cuore, né anima. Ogni persona che è passata di qui era un mondo a sé, solo e unico, ma in relazione con gli altri; e glielo si poteva leggere in viso: il suo passato, il presente, le sue speranze per l’avvenire. Stando costretto qua, sempre qua nello stesso luogo a lavorare, sono diventato piuttosto sensibile e sento le persone, il loro vissuto.
Conosco ogni dettaglio dell’ambiente che mi circonda, ma non dei passanti occasionali che qui arrivano per poi andare via, perciò pure nei loro occhi cerco quello che non so. E anche se nessuno mai mi saluta, tutti sempre mi guardarono e, forse, inconsciamente, mi ringraziano. Io vivo solo per loro. Per quegli occhi profondi come il mare, per quei capelli mossi da venti lontani, per quei piedi che hanno percorso strade sconosciute, per quelle mani operose, per quelle bocche dalle parole incomprensibili. Che dire poi dei loro cuori? È passata di qui la persona che ha versato le sue lacrime per l’abbandono di lei, o la ragazza dallo sguardo disperso tra il sogno e l’amore; quanti fanciulli spensierati hanno fatto le loro corse inseguendo una palla, quante donne tristi e variopinte, vicine o lontane, mi tenevano compagnia mentre attendevano l’auto solitaria che le portava via per poche ore, riaccompagnandole poi qua con tasche e cuore più pesanti; auto solitarie che infine veloci fuggivano altrove, forse verso casa, divenendo a ogni metro più malinconiche… Conosco grazie a loro ciò che non ho mai visto, fatto o sentito.
Questa è la mia notte. Ti assicuro che, benché stia fermo qualunque cosa accada, il mio lavoro è come un dolcissimo travaglio: vivere sensazioni, emozioni e sentimenti altrui è estremamente sfiancante, ma non potrei mai farne a meno. È così che la mia vita ha senso. Vivo per la notte, vivo per il lavoro. E il mio turno finisce lentamente, quant’è lento l’avvento della luce: inizio a riposare quando mi sostituisce il sole e mi addormento piano piano, con dolcezza, spegnendomi, al pari di tutti gli altri rari e ignorati lampioni di questa strada di frontiera…

Valentina Piroddi

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