.|Il libraio|.
Fausto rincasava, come tutti i giorni, dopo aver terminato il suo turno alla libreria, la vecchia cara bottega del libro, nella quale aveva trascorso gran parte del tempo della sua vita. Ogni libro emanava un odore, ogni copertina suscitava un’emozione al tatto.
Aveva una leggera barbetta, che si accarezzava spesso e volentieri, un’abitudine rimastagli dai tempi del liceo. Ogni volta che un cliente entrava nella libreria e poi acquistava un libro, il rituale era lo stesso. Fausto scattava in piedi, come elettrizzato dal rumore dei passi che sembravano più svelti quando, decisi, si dirigevano alla cassa per pagare. Quindi afferrava delicatamente il libro scelto, mantenendo il pollice sulla parte superiore e accarezzando, di nascosto, quella inferiore, senza essere visto. Poi, mentre il cliente prendeva il portafogli per pagare, sfogliava le prime tre pagine, e arrivava all’incipit del volume. Poteva essere un saggio o un romanzo, un libro per bambini o un testo illustrato. Era indifferente. Gettava fulmineo lo sguardo vispo sul foglio, che da dietro gli occhiali catturava il primissimo rigo del testo, assaporandolo e serbandolo dentro di sé. Poi richiudeva svelto, preoccupato di averci impiegato troppo, e pensando che la volta successiva sarebbe riuscito a fare più in fretta. Quindi afferrava i soldi con noncuranza, non preoccupandosi neanche di verificare fossero esatti. Infine, adagiava il libro nella bustina di carta e lo consegnava, tutto contento e con un lieve sorriso, al cliente. Salutava e tornava a sedersi.
Fausto era molto soddisfatto del suo lavoro. Era stato il sogno di una vita. Nulla avrebbe preferito al profumo fragrante della carta fresca di stampa, quell’aroma intenso più buono persino del caffè di Luisa, sua moglie. Per quanto quest’ultimo fosse gustoso, la carta era pur sempre la carta.
Il periodo per lui più seccante era quello delle feste natalizie. Decine e decine di persone affollavano la bottega del libro alla ricerca del titolo giusto da regalare e lui non aveva un secondo di tregua. In quei giorni aveva una ragazza che lo aiutava, la figlia della vicina di casa, ma ugualmente il lavoro era tantissimo. Ciò che più lo rattristava era non riuscire a leggere gli incipit dei libri. Solo con qualche libro riusciva a farlo, ma la maggior parte usciva senza che lui gli avesse dato neanche uno sguardo. La vigilia di Natale dell’anno prima aveva tentato, dopo un’intera nottata di riflessione, di prendersi ugualmente il proprio tempo per leggere il primo rigo di ogni libro, ma il risultato era stato quanto mai disastroso: la fila era arrivata fino alla porta e le lamentele – che si leggevano anche dallo sguardo assente e infastidito dei clienti – non avevano tardato ad arrivare.
Fausto lo sapeva che tutti la ritenevano una fissazione la sua, e tante volte ci aveva pensato.
«C’è chi ama gli animali, chi i fiori. Io amo i libri, perché farmene una colpa?» aveva concluso soddisfatto.
Spesso si trovava a discutere con la moglie per questo, dal momento che aveva trasformato la sua casa in una sorta di tempio del libro. Ce ne erano dappertutto. Vicino al televisore, accanto al divano, sulla mensola del bagno, persino accanto al frigorifero. Luisa una volta, facendo le pulizie, ne aveva persino trovato uno sotto il cuscino della poltrona, e un’altra volta nel piccolo mobile del bagno, accanto al dopobarba. Si trattava di un libricino minuto, alto sì e no dieci centimetri, scritto con piccoli caratteri che quasi si faceva fatica a leggerli. Potete immaginare la faccia di Luisa a quella vista.
A parte le feste di Natale, la vita in libreria era straordinariamente regolare. I clienti acquistavano ma non troppo, lasciandogli il tempo per leggere beato dietro il suo bancone; il corriere passava da lui una volta a settimana, solitamente il lunedì; i chiacchieroni fortunatamente non erano troppi.
Una volta, che Fausto ricordò per sempre, la figlia della vicina, Martina, la stessa ragazza che lo aiutava nelle vendite durante le feste, entrò per acquistare alcuni libri per l’università. Martina era una gran chiacchierona e sapeva bene di esserlo. Di fatto spesso se ne dimenticava, sciogliendo le briglie alla sua lingua, che correva indisturbata lungo i binari della chiacchiera più varia.
Quello fu un lunghissimo pomeriggio per Fausto. Gli raccontò dell’università e degli esami. Attaccò con la politica e con la mancanza di lavoro. Andò giù con la festa di s. Alessio e i preparativi.
«Ma oggi non devi studiare?» chiese a un tratto Fausto, con un sorriso ironico, dopo alcune mezzore di forzata conversazione.
Martina si interruppe perplessa, temendo di essere andata di nuovo oltre. Spalancò gli occhi facendo un passo indietro.
«Oh no… ti sto annoiando… parlo troppo… scusa… vado subito»
Fausto, preso dal rimorso e temendo che la giovane studentessa se la fosse presa a male, rimediò alla meno peggio, consapevole di rischiare la condanna più atroce:
«No! Ma che dici?! Dicevo così, per sapere se oggi studi per il tuo prossimo esame. Pura curiosità!»
Il colorito ricomparve tutto quanto sul volto di Martina.
«Meno male! – sospirò di sollievo, come liberata da un macigno sulla testa – Sai, parlo sempre tanto, me lo dicono tutti, e temevo che ti fossi annoiato!»
Fausto la guardava sorridente, scrutando, con la coda dell’occhio, quel suo libricino adagiato sul bancone, ad attenderlo, con il segnalibro di carta messo soltanto a pagina sei.
«No. Oggi non studio, sto facendo una pausa» continuò imperterrita Martina, rassicurata dalle sue parole.
Quella fu una giornata con poca lettura e molto lunga.
Alla sera, tornando a casa, Fausto si adagiò sulla poltrona di pelle del salotto e accese la televisione. Adagiando la testa, vide un soffitto roseo, che sembrava quasi tinteggiato di fresco.
«Luisa – chiamò la moglie –, quando è stata l’ultima volta in cui abbiamo dipinto il soffitto?» alzò la voce per farsi sentire.
Non ottenne risposta. Sentiva soltanto rumore di pentole e piatti.
«Luisa – quasi urlando –, quand’è che abbiamo ridipinto il soffitto?»
Con passo sostenuto arrivò alla porta del salotto, facendo capolino.
«Che gridi! Non sono mica sorda!» con tono un po’ seccato. «Tre anni fa credo, o giù di lì. Perché? Credi sia già ora di rifarlo?» lo interrogò perplessa.
«No no, chiedevo così, per sapere» sorrise Fausto.
Sentendo Luisa ritornare in cucina, alle prese con la cena da preparare, Fausto osservò ancora quel soffitto e pensava: “Sembrava fresco di pittura”.
Quella sera passò tranquilla. Mangiarono uova in camicia e frutta secca, verdure a vapore e biscotti fatti in casa.
Ma Fausto si era reso conto che qualcosa, stando sempre con il naso tra le pagine dei libri, gli stava sfuggendo. Non era solo la tinteggiatura del soffitto del salotto.
Fu a letto che ebbe una folgorazione, quasi una conversione.
Il giorno dopo, in libreria, Fausto rivolgeva domande incuriosite a ogni cliente che entrava. Cose del tipo «Bello questo. L’ha letto l’ultimo?» o «Sua figlia, invece, cos’ha studiato?» alle persone che conosceva; «Non la vedo spesso qui. Abita da queste parti?» oppure «Anche a me piace molto quel libro. Lei quante volte lo ha letto? Io almeno tre» alle persone nuove o viste poche volte.
Da quel giorno qualcosa cambiò definitivamente.
Era strano. Ma il profumo intenso e odoroso della carta fresca di stampa ora lo emanavano anche le persone.