Confini girevoli
Forse Tijuana non sarà il vero Messico. La cosa certa è che non somiglia per niente nemmeno agli Stati Uniti. Sicuramente poche cose come varcare quella porta a griglie ti possono dare la netta sensazione di aver cambiato mondo. (Foto: © Francesco Longo; foto 2: Flickr cc triciawang)
Mi trovo a San Diego, California, a due passi da uno dei confini di stato più discussi, più attraversati e forse più pericolosi. Molte guide infatti sconsigliano vivamente di andare a Tijuana, specialmente di sera. Decido quindi di andarci di giorno.
Tornello per l’ingresso in MessicoDopo aver parcheggiato l’auto, seguo la strada che i cartelli mi indicano. Preferisco passare il confine a piedi piuttosto che in auto, un po’ per il romanticismo che mi suscita l’attraversare i confini di stato a piedi, un po’ per la lunga coda di auto ferma da chissà quanto tempo.
Cammino lungo lo stretto corridoio delimitato da alcune reti alte tre metri e disseminato di poliziotti appoggiati alla rete stessa, intenti a chiacchierare e osservare.
Cerco con lo sguardo la dogana, un posto di blocco ma tutto ciò che mi separa da Tijuana è solo un tornello: varco la porta e sono in Messico.
In un attimo viene cancellato tutto quello che ho visto fino a questo momento. Sono partito da downtown San Diego e ho guidato attraverso alti grattacieli, graziose zone residenziali con le classiche case dei film, con il vialetto, i prati, i bambini in bicicletta, e mi ritrovo, adesso, catapultato letteralmente in un altro mondo.
Dopo il primo sguardo a Tijuana, mi volto per vedere se San Diego è ancora dietro di me o se magicamente ho varcato una porta spazio-temporale.
Sono immerso in una città con un traffico scomposto, bancarelle improvvisate, edifici totalmente differenti e mille occhi addosso.
Appena passato il confine cammino verso Avenida Revolucion, nota zona turistica, piuttosto che addentrarmi nell’immensa e pericolosa città. I tassisti mi prendono d’assalto, ognuno vuole portarmi in qualche ristorante, in qualche negozio o da qualche “chicas”. Attorno a me persone che cercano di vendere oro, gioielli o droghe, uomini americani che comprano alcolici e sigarette, oppure medicine troppo care negli USA, nelle farmacie dislocate in ogni angolo.
Arrivo finalmente nella famosa Avenida, fulcro della vita notturna di Tijuana. In effetti è tutto molto turistico ma comunque molto carino. Decine di negozi e bar diffondono musica che finisce nelle strade semideserte di un mezzogiorno davvero assolato e soporifero.
I commercianti mi invitano a entrare nei loro negozi rimanendo seduti sulle loro sedie sul marciapiede, chiamandomi “Yankee”.
Tornando verso gli Stati Uniti mi fermo a mangiare in un locale posto in una posizione più alta rispetto alla città, dove posso vedere la quasi assurdità della situazione: un muro che divide due stati, due mentalità, due economie, due stili di vita diversi separati solo da un tornello che permette di entrare in Messico senza domande, ma che fa fare ore di code per rientrare negli USA.
Mentre sorseggio la mia birra, vedo vicino a me alcuni ragazzi statunitensi sotto i ventuno anni che, per eludere la legge sull’alcol del loro Paese, vengono a bere qui. Uno di loro alza la birra verso di me e mi dice: «questa è la parte giusta del confine!»
Non so se questa sia la parte giusta o sbagliata del confine, certo è che guardare il tornello girare e trasportare la gente da un mondo all’altro ha sicuramente qualcosa di magico.
Francesco Longo