I pavoni giganti parlano francese
Viaggio attraverso i nuovi Papi di Avignone, tra rumori e colori di una città che ha sempre avuto una vita movimentata. Da residenza estiva papale a culla del grande festival del teatro di strada.
Da lontano, Avignone sembra una chiocciola, racchiusa nel suo guscio di mura e protetta da un fiume verde, il Rodano, che la bagna per metà.
Il primo impatto deve essere da una certa distanza e sempre da una certa le si deve girare intorno, alla città, per corteggiarla prima di oltrepassare le mura.
È questione di rispetto: Avignone emana una regalità ed una calma che abbracciano chiunque si accinga a visitarla.
Sono stata a lungo, seduta in riva al fiume, a fissare le mura e le torri, ad immaginarmele vivere e perdere un pezzo di ponte, come un arto.
Mi sembrava fosse protetta da enormi pavoni di pietra, rigorosi e severi che diventarono torri non appena fui a pochi metri di distanza.
Le vie sono strette e simili tra loro ma è facile raggiungere la piazza principale, dove troneggia una giostra di cavalli antica.
Mi incanto ad ammirare un edificio con le finestre dipinte dentro alle quali si narrano scene di inverosimile vita quotidiana.
Intorno a me, un brulicare di gente.
È in corso il festival del teatro di strada che durerà fino al 31 luglio. Un mese di stravaganze e cultura portata tra vicoli e piazze.
Attori in costume promuovono i loro spettacoli recitando le parti salienti del copione a turisti che, sorridendo, prendono il volantino informativo.
Musiche diverse provengono dalle stesse vie intasate di persone incantate davanti ad un ragazzo che suona un pianoforte davanti alla saracinesca chiusa di un negozio di moda.
L’ha trasportato fin qui con un piccolo carrello.
Poco più avanti, un gruppo di adolescenti fa soldi imitando lo stile di un cantante recentemente scomparso, mentre i bambini scappano impauriti da un ragazzo biondo, travestito da pagliaccio, che porta a spasso un cane burattino con gli occhi spiritati.
La città si ribalta sotto i miei occhi mentre fisso la palla contact di un elfo francese; mi risveglia il fuoco di una coppia che, a tempo di fisarmonica, danza un valzer di clave infuocate.
Mi infilo dentro alla cattedrale Notre Dame des Doms per restare sola con il mio silenzio. Mi fa piacere scoprirla così semplice.
Cammino poi per i giardini del Palazzo dei Papi, pieni di fiori curatissimi e di siepi impeccabili ed invidio una bambina di tre anni che gira in groppa ad un cavallo di legno con le ruote.
Cerco di perdermi tra le vie più nascoste, sulle note di una cantante lirica vestita di giallo e mi imbatto in ragazzi che provano, appartati, un numero di giocoleria.
Con in mano un delizioso pain au chocolate, li saluto ed esco dalle mura.
Attraverso il ponte che mi condurrà ad un parco in riva al fiume, per poter godere del tramonto.
Incrocio una ragazza che è piegata dal peso di un trombone: suonerà stasera.
Mi siedo mentre il sole scende. Ho davanti a me il ponte di Saint-Bénezet e le torri del Palazzo; stamattina erano color sabbia. Mi metto a canticchiare una canzone francese per bambini dedicata appunto ai ponti, me l’hanno insegnata quando ero più piccola, mentre sotto i miei occhi increduli tutto si tinge di terra, giallo, arancione, rosso, viola, lilla e pervinca.
Al buio, invece, risplendono di luce chimica di lampioni regali.
Continuo a sentire un armonioso miscuglio di note mentre penso che la cosa che mi ha più colpito della Provenza sono i colori delle imposte delle finestre di legno. Colori che mi sembrava di non aver mai saputo vedere prima.
Katia Bonini