
Il piano di pace ONU non ferma la guerra civile in Siria
Nonostante la presenza degli osservatori ONU e le prime elezioni pluri-partitiche da quaranta anni, prosegue la guerra civile in Siria. Gli scontri hanno portato alla morte di oltre novemila persone e gli attentati suicidi degli ultimi giorni sembrano aver aperto una nuova, terrificante fase del conflitto. (Foto: Flickr cc Syriafreedom)
Negli ultimi mesi l’attenzione dei media del nostro Paese è stata comprensibilmente assorbita dalle problematiche interne ed europee. Solo lontani echi sono giunti sin qui dalla Siria, in cui continua a consumarsi una drammatica protesta che oramai si è trasformata in una vera e propria guerra civile. La Primavera Araba, che aveva investito tutto il Maghreb abbattendo una dopo l’altra le dittature nordafricane, pareva destinata ad estendersi anche al Medio Oriente ma i venti del cambiamento hanno trovato nella Siria una barriera insormontabile. Qui il regime è stato in grado di soffocare nel sangue le pretese di riforma democratica dei dimostranti che tuttavia sembrano non avere alcuna intenzione di arrendersi.
Pur con l’intervento dell’ONU, concretizzatosi nel piano di pace proposto dall’ex-segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, le proteste non si sono placate e con esse la violenta repressione da parte del governo siriano. Secondo fonti ONU, gli scontri dell’ultimo anno – concentrati principalmente nelle città di Homs, Daraa e Damasco – hanno causato oltre novemila vittime, cifra considerata molto prudente dai leader dell’opposizione.
E gli eventi delle ultime settimane danno l’idea che questi numeri siano destinati a crescere rapidamente. Negli scorsi giorni gli episodi di violenza hanno segnato una rapida escalation, culminata con l’attacco suicida avvenuto a Damasco che ha causato la morte di 55 persone e il ferimento di oltre trecento. Questo sanguinoso evento ha dimostrato oltre ogni dubbio l’incapacità dell’attuale piano di pace di produrre effetti reali.
Il piano ideato da Annan prevedeva un’interruzione immediata delle ostilità accompagnata da un processo di democratizzazione del Paese che si sarebbe dovuto concretizzare nel rilascio dei protestanti trattenuti illegalmente e nell’accoglimento delle legittime richieste di riforme da parte della popolazione. Ma la presenza degli Osservatori delle Nazioni Unite non ha portato i risultati sperati e le violenze continuano.
Le posizioni dei due schieramenti sembrano al momento inconciliabili. Il governo siriano del presidente al-Assad non sembra intenzionato a cedere alle pressioni della popolazione, come dimostrano i continui arresti di manifestanti e l’espulsione dal Paese dei media indipendenti. Nemmeno l’approvazione della nuova costituzione, che sancisce la fine del sistema mono-partitico, ha portato ad un riavvicinamento. Le elezioni dello scorso lunedì – aperte ad altri partiti dopo quaranta anni di dominio del partito Ba’ath, l’NPF (National Progressive Front) – non mettono in gioco la carica presidenziale e, con l’attuale legislazione, il presidente al-Assad potrebbe rimanere al potere per altri quattordici anni.
Con queste premesse, l’opposizione siriana ha chiesto di boicottare le elezioni ritenendole una farsa messa in piedi dal governo attuale per legittimare ufficialmente il proprio mandato. Senza le libertà di associazione, manifestazione ed espressione necessarie per una campagna elettorale realmente democratica, qualsiasi consultazione elettorale appare inutile. La rivolta è dunque destinata a continuare e probabilmente ad inasprirsi senza l’intervento della comunità internazionale. Del resto, gli oppositori si battono per gli stessi ideali di democrazia e libertà che hanno caratterizzato la rivoluzione araba dello scorso anno, valori che sembrano essere disposti a difendere a costo della vita.
Alessandro Turco